ospedali
14 Giugno 2024Nel 2022 il 12,5% degli italiani oltre 7,6 milioni di cittadini è entrato in un ospedale per curarsi, dal Covid-19 e da altre patologie. Il mix dei casi ha risentito del calo di diffusione dei contagi da coronavirus e sono tornati i pazienti con patologie non trasmissibili
Nel 2022 il 12,5% degli italiani oltre 7,6 milioni di cittadini è entrato in un ospedale per curarsi, dal Covid-19 e da altre patologie. Il mix dei casi, pur restando “anomalo”, ha risentito del calo di diffusione dei contagi da coronavirus e sono tornati i pazienti con patologie non trasmissibili. Non che questi ultimi fossero mancati nei due anni precedenti. Al convegno “Rapporto SDO 2022-Uno strumento di lettura sull’assistenza ospedaliera in Italia” organizzato dal Ministero della Salute, l’analisi delle schede di dimissione rivela come i ricoveri ordinari stiano crescendo per tornare ai livelli ante-Covid, non per superarli: da 6,2 milioni nel 2020 si passa a 6,69 milioni del 2021 (anno di picco del Covid, con -1,06 milioni sul 2019) a 7,5 milioni circa nel 2022. Per il 2023 è censito ma non analizzato nel dettaglio un incremento di 250 mila unità, fino a 7,75 milioni. Ma se iniziano a funzionare le strutture sul territorio (ospedali e case di comunità) e l’assistenza domiciliare, il livello 2019 potrebbe non essere più raggiunto, come si evince dalla relazione introduttiva di Americo Cicchetti, Direttore Generale ex Programmazione del Ministero. C’è di più: nel trend dei ricoveri assoluti comprensivi di day hospital, riabilitazione e lungodegenza il 2019 non è il “top” assoluto: siamo lontani dai 12 milioni di ricoveri dell’anno 2000, con 9 milioni di ospedalizzazioni ordinarie. Nel 2015, il calo dei posti letto dovuto al decreto ministeriale 70 ha portato un ridimensionamento delle degenze. Il trend però ora si va stabilizzando. I dati delle SDO infatti indicano, oltre alla risalita dei tassi di ospedalizzazione, una ripresa lieve del ricorso improprio all’ospedale. Per contro, diminuiscono i tassi di degenza preoperatoria, le dimissioni di pazienti medici da reparti chirurgici, e i ricoveri in Day Hospital di Medicina; questi ultimi cedono il passo a quelli in Chirurgia e alle prestazioni ambulatoriali.
Nel suo intervento, il Ministro della Salute osserva come l’inappropriatezza vada diminuendo. «Senza dubbio, il ricorso improprio all’ospedale resta una criticità dovuta essenzialmente al crescente numero di persone affette da patologie croniche a cui vanno date risposte sul territorio». In un contesto dove non calano più gli ospedali sotto i 120 posti letto, in genere riempiti per appena due terzi, e ce ne sono troppi fra i 120 e i 400, i pazienti ricoverati che poi vengono dimessi e trasferiti in strutture territoriali per il completamento del percorso, come spiega nella sua relazione Lucia Lispi (Health Planning), sono il 7%: un dato buono perché doppio rispetto a 10 anni fa, ma ben migliorabile. Per arrivare alla doppia cifra bisognerà attendere la messa a terra degli interventi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, prevista per il 2026, come ha ventilato il ministro Orazio Schillaci in un passaggio del suo intervento.
Altri temi dove il sistema non migliora sono appunto le liste d’attesa, in particolare per interventi chirurgici di elezione (esempi: protesi d’anca ed intervento d’ernia inguinale) e la mobilità passiva dal Sud a Nord. Su cento schede di dimissione, otto si riferiscono a pazienti venuti da una regione diversa da quella in cui sorge l’ospedale. Resta il trend che porta i pazienti campani, pugliesi, calabresi verso Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Lazio: hanno cambiato regione 8,3 ricoverati su 100. Schillaci sottolinea il lavoro che il governo sta svolgendo per ridurre le diseguaglianze anche attraverso il decreto-legge anti-liste d’attesa, che «dovrebbe consentire una maggiore efficacia del coordinamento nazionale necessaria per intervenire tempestivamente su inefficienze e iniquità». Un cenno, infine, all’oncologia: il 20% delle schede ormai sono appannaggio di patologie tumorali, e i tempi d’attesa sono sostanzialmente rispettati. Questo, malgrado l’80% della casistica sia gestito dal 25% degli ospedali, tanto per la chirurgia quanto per le terapie: più è grande e sede di ricerca, più l’ospedale, o l’istituto scientifico, è efficiente ed efficace.
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