Governo e Parlamento
07 Marzo 2023 Il coronavirus ha dato impulso alla sanità italiana, in 3 anni sono stati iniettati 14 miliardi di euro in più, che presto saranno 16, e 20 dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza più altri 600 milioni per il Sud. Ed adesso si offre alla “più importante infrastruttura dello Stato sociale in Italia” la chance di rivitalizzare servizi chiave. Ma forse solo un ruolo più propositivo del governo centrale nella sanità – che non significa meno federalismo – può ridare slancio al Servizio sanitario nazionale. Lo afferma Antonio Gaudioso già a capo della segreteria tecnica del Ministero della Salute durante il governo Draghi, in un articolo sull’Osservatore Romano. «Nato nel 1978 con la legge 833 –il Ministro era Tina Anselmi– il SSN aveva, e continua ad avere, l’obiettivo di garantire un accesso universale alle cure, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali della persona. Nell’era pre-Covid avevamo assistito ad una progressiva riduzione degli investimenti pubblici su questo capitolo— la percentuale sul Pil è arrivata ad essere tra le più basse nell’eurozona — con la conseguenza di un sostanziale blocco delle assunzioni (…) in un momento nel quale i bisogni sociali cambiavano rapidamente sia in relazione all’innovazione delle tecnologie che al progressivo innalzamento della età media e dell’aspettativa di vita», scrive Gaudioso. In parallelo si era attuata la riforma del Titolo V della Costituzione, trasferendo i poteri alle regioni per ottimizzare la risposta dei servizi avvicinandoli ai bisogni dei residenti. Ma in parallelo, per Gaudioso, lo Stato doveva fare un passo avanti a coordinamento delle regioni. Invece “Roma” si è relegata “ad un ruolo residuale nel quale, ad esempio, è venuta meno la possibilità di garantire adeguati ed omogenei livelli di servizio ai cittadini di tutti i territori. L’effetto di questa situazione è stato un progressivo allargarsi e consolidarsi di storiche disuguaglianze tra le varie aree del Paese”.
Ancora alla vigilia della pandemia la sanità dava l’impressione di tenere. I convegni si aprivano elogiando la “resilienza del SSN”, termine in uso ben prima del PNRR, ma il Servizio sanitario pubblico, finanziato con 114 miliardi di euro, ben sotto il 7% del prodotto interno lordo, perdeva quota in ambiti quali l’aggiornamento tecnologico, l’interoperabilità delle banche dati tra Regioni, l’implementazione del fascicolo sanitario elettronico. In tale contesto, “l’avvento del Covid scatena una vera e propria rivoluzione, caratterizzata da quattro impellenti bisogni: la necessità di ripensare l’erogazione dei servizi; l’urgenza di riorganizzare e finanziare una sanità territoriale trascurata per decenni; l’esigenza di innovazione tecnologica e di sanità digitale; l’improvvisa necessità di personale adeguato”. Di qui un’iniezione di liquidità senza precedenti, che dovrebbe consentire entro il 2026, anno di “perentoria scadenza” del PNRR, di riorganizzare la sanità territoriale, aumentare gli investimenti in ricerca, consentire ai cittadini di accedere a telemedicina e fascicolo sanitario elettronico, avere banche dati regionali comunicanti. Gaudioso cita altri esempi di cambio di passo: l’aumento delle borse di studio per i medici, volto coprire l’”imbuto formativo” che si creava all’accesso alla scuola di specializzazione; la ricetta dematerializzata, «che ha permesso ai cittadini di avere un rapporto sia con il medico di famiglia che con il farmacista per una più semplice gestione della prescrizione e dell’accesso al farmaco; il ruolo della farmacia di comunità, che offre ed offrirà sempre di più, servizi qualificati ai cittadini, allargando di fatto i punti territoriali di accesso alla cura».
Ora però restano molti nodi da sciogliere, dal “medico di famiglia che può e deve garantire percorsi di cura adeguati per i cittadini, dall’assistenza domiciliare a quella ospedaliera” all’emergenza/urgenza, alla capacità del SSN di formare figure professionali “in un contesto nel quale i bisogni di cura evolvono continuamente”. Mentre il Parlamento discute la legge delega sulla condizione degli anziani autosufficienti e non, che contiene delle grandi opportunità di riforma strutturale a fronte di forti investimenti, per Gaudioso, alla fine il nodo più importante da sciogliere sta nel rapporto tra Stato e Regioni: “Ha ormai mostrato i suoi limiti. Le Regioni hanno grande autonomia per essere vicino ai territori, ma lo Stato è spesso privo dei mezzi necessari a garantire omogenei livelli essenziali di assistenza. Un diritto questo che è caposaldo del SSN e della splendida Costituzione italiana, e che merita per tanto sforzi sempre maggiori affinché siano scongiurati “diritti a due velocità”.
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