Medici
30 Giugno 2025L’on. Paolo Russo, medico ospedaliero, già parlamentare, ripercorre le storture di una programmazione fallimentare che ha prodotto intere generazioni di medici senza prospettive, con un sistema incapace di valorizzare davvero la professione
La crisi della sanità italiana non si risolve solo aumentando il numero degli iscritti a Medicina. In questo articolo, l’on. Paolo Russo, medico ospedaliero, già parlamentare, ripercorre le storture di una programmazione fallimentare che ha prodotto intere generazioni di medici senza prospettive, con un sistema incapace di valorizzare davvero la professione. Tra carenze strutturali, migrazioni interne ed estere, e il rischio di ripetere vecchi errori, l’autore lancia un appello: serve una riforma profonda e lungimirante per rendere di nuovo attrattiva la medicina in Italia. Ecco il suo intervento
“È un errore grave non far tesoro del passato.
Erano gli anni ‘70 e cresceva a dismisura il numero di iscritti a medicina: il boom demografico ed economico aveva avvicinato più giovani alle università ed alle professioni intellettuali. In alcuni atenei le lezioni teoriche, tanti erano gli iscritti, si tenevano in teatri, cinema, addirittura nei capannoni fieristici.
Gli internati nei reparti universitari si trasformavano in una sorta di processioni laiche dove decine di studenti rincorrevano i docenti. Era difficile persino farsi riconoscere dal tutore, impossibile seguire l’aspetto clinico del paziente che si provava a visitare in una sorta di piazza clinica sbirciando e mai vedendo, figurarsi la semeiotica, questa sconosciuta. Insomma, un bailamme dove il prof presto si stancava di essere inseguito dai ragazzi, non tutti silenziosi ed attenti, i pazienti si infastidivano dei tanti sguardi compassionevoli quanto inutili e per gli studenti, quel tempo di presunto tutoraggio in campo, era solo una sottrazione di prezioso tempo allo studio tradizionale.
Tanto era drammatica la situazione che si fu costretti, e non subito purtroppo, ad istituire con legge il numero chiuso a medicina. In realtà fu prima bloccato con mille ricorsi un decreto ministeriale del 1987 (ministro Zecchino) che poi diventò legge nel 1999.
Venti anni di iscrizioni a gogò dove, nonostante ripetute sollecitazioni della Ue per migliorare lo standard qualitativo delle attività formative, le università italiane hanno sfornato migliaia di laureati in medicina che null’altro potevano fare se non i medici e per i quali non vi erano possibilità di specializzazioni e nemmeno accessi al sistema sanitario nazionale.
Si fu costretti ad inventare con mai invidiata fantasia figure aggiuntive nei ruoli medico sanitari: dai medici gettonisti ai trimestrali passando per i medici “disponibili” di guardia medica alla medicina dei servizi pur di assumere (sistemare!) questa anomalia che nulla aveva a che fare con la tutela della salute e che generò basse retribuzioni, insicurezza lavorativa e ridotta qualità nell’assistenza.
Una sorta di lavoratori medici con un profilo di lavoratori socialmente utili: un peregrinare tra prelievi e guardie turistiche...
Questa è l’amara storia di una programmazione insulsa che formava poco e male il doppio dei medici rispetto alle reali esigenze.
Quei medici laureati proprio in quelle stagioni, da qualche anno ed ancora per un quinquennio, sono in uscita dal sistema sanitario sia pubblico che privato e sarebbe stato ragionevole programmare in concomitanza con il picco di uscita un picco di entrata.
Viceversa, oggi i medici sono pochi e domani rischiano di essere di nuovo troppi con un doppio danno per la salute dei nostri pazienti ed ovviamente per la qualità della vita dei colleghi medici.
In alcune regioni questo fenomeno è ancora più esasperato (Calabria e Campania) e tempestivamente andrebbero assunte misure adeguate per compensare queste carenze che desertificheranno dal punto di vista dell’assistenza intere aree del nostro Paese.
Si dice che aumentare il numero di ingressi a medicina contrasta lo spopolamento assistenziale ed in parte è vero, ma solo in parte.
La migrazione dei medici sia in fase di formazione verso le università del nord, ancor di più nelle attività di specializzazione (ci sarà una ragione se un terzo dei contratti di specializzazione in Sardegna e nelle Marche non viene coperto!) ed infine l’attrazione dei grandi ospedali del settentrione in Italia e dei grandi ospedali nel mondo (Svizzera, Regno Unito, Germania, Francia, Stati Uniti…) è il principale problema della carenza di medici in Italia.
E questa non si contrasta aumentando il numero dei laureati, piuttosto rendendo attrattiva la professione in Italia per modello organizzativo, per qualità del lavoro, per organizzazione di sistema, per prospettive di crescita professionale ed anche per livello retributivo.
Tutto il resto sono pannicelli caldi utili per uno slogan elettorale che si ritorcono contro: per formare un medico ci vogliono più o meno 150.000 euro che il nostro Paese investe ed ogni laureato oltre il necessario riduce naturalmente la qualità dell’insegnamento.
150 mila euro che sottraiamo all’assistenza e che regaliamo ad altri Paesi, professionisti che si fanno valere nel mondo garantendo risposte di qualità alla domanda di salute crescente e generano ricchezza.
Tutto questo accade in assenza di una adeguata programmazione…!!
di Paolo Russo*
*Medico ospedaliero, già parlamentare
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