Medicina
07 Marzo 2024Di fronte alla possibilità di utilizzare informazioni sanitarie di singoli per curare persone, una volta garantita la riservatezza, fino a che punto è vincente chiedere restrizioni sui trattamenti di dati a fini scientifici, statistici, di programmazione, di prevenzione?
I reclami di utenti della sanità al Garante Privacy relativi al presunto “abuso” sui dati hanno fermato alcune ricerche nel nostro paese. Ma di fronte alla possibilità di utilizzare informazioni sanitarie di singoli per curare persone, una volta garantita la riservatezza, fino a che punto è vincente chiedere restrizioni sui trattamenti di dati a fini scientifici, statistici, di programmazione, di prevenzione? Alla presentazione del disegno di legge Pd rivolto a sperimentare per 18 mesi soluzioni semplificate per la ricerca, la senatrice Beatrice Lorenzin ospita le associazioni di malati. E si domanda: «Quanti pazienti vogliono sapere che una nuova cura fa al caso loro? Quanti vogliono essere contattati, pure tra i ricercatori, se possono fruire di una soluzione alla loro malattia?» «I malati sono consapevoli dell’importanza di condividere dati per avere risposte di cura per sé ed altri malati. E sono disponibili», dice Mario Battaglia presidente AISM, associazione per la lotta alla sclerosi multipla. Che non nasconde i problemi dovuti alle attuali letture restrittive delle norme sulla privacy. «Con la nostra fondazione lavoriamo ad un registro italiano della sclerosi multipla. Due regioni ci hanno dato il permesso di mettere insieme dati fiscali ed Inps dei loro residenti malati, ma il Garante ci ha fermati». La posizione è che ad ogni utilizzo successivo di dati serve il consenso. Ma per Battaglia «il consenso secondario del paziente è implicito, perché sa di poter avere risposte di cura per la sua malattia». Per Andrea Gori ricercatore Anlaids «le norme sulla privacy sono un ostacolo, partecipo a quattro progetti comunitari e in tutti l’Italia fa grandi brutte figure perché non può disporre dei dati che andrebbero presentati. Nella pandemia di Covid abbiamo impiegato un anno per capire che i vari ritonavir, idrossiclorochina, ivermectina erano inefficaci. Ci fosse stata la possibilità di condividere dati sincroni a livello globale avremmo evitato di perdere tempo». A brevissimo uscirà il regolamento sullo spazio europeo per i dati sanitari, «e cosa accadrà in Italia con una ricerca monca?» si chiede Eva Pesaro di UniAmo, associazione di pazienti con malattie rare. Che per il progetto di legge Pd sulla sperimentazione di un uso agile dei dati sanitari chiede il coinvolgimento dei rappresentanti di cittadini e pazienti «così da definire chiaramente quali dati utilizzare e con quali limiti e il percorso del dato, la trasparenza e la restituzione eventuale, importante per i malati rari». Concorda Andrea Tomasini Apmar Onlus sulla disponibilità delle associazioni dei malati reumatologici ad una normativa più aperta. Silvia Ciresa (Fondazione ANT) sottolinea che anche i malati terminali di tumore hanno bisogno di un uso massiccio dei loro dati. «Ci sono modelli predittivi per anticipare i bisogni dei pazienti a domicilio. Creerebbero reali risparmi, specie in carenza di personale sanitario. Ad esempio nel Covid il fatto di usare i dati dei 3 mila malati seguiti a casa ci ha permesso di indirizzare interventi mirati di telemedicina e teleconsulto».
Com’è emerso nella seconda parte della presentazione, il disegno di legge Pd va ora calendarizzato in Senato. Intanto ne discute la Commissione Affari Costituzionali. Qui i senatori Dario Parrini e Valeria Valente non hanno dubbi sull’esigenza di “contemperare tutela della privacy e interesse collettivo al progresso”. «La proposta si muove con prudenza e senso di responsabilità e affida all’Esecutivo, in particolare al Ministero della Salute, il compito di emanare decreti attuativi veloci. Mi auguro che nessuna forza politica cavalchi resistenze miopi ed ideologiche», dice Parrini. In parallelo, alla Camera alcuni deputati tra cui Gianni Girelli (Commissione Affari Sociali) lavorano a risoluzioni ad hoc. «Noi cittadini difendiamo la nostra privacy, ma molti operatori economici sanno di noi informazioni che non volevamo consegnargli. Qui è il contrario, i dati sono messi a disposizione di chi ci cura, usati per noi. Inoltre, in sanità Italia ha sistemi informatici disgregati che non si parlano tra loro e questa può essere occasione per farli parlare». Infine, gli esponenti delle professioni: per il vicepresidente degli infermieri Fnopi Luigi Pais De Mori consigliere dell’Ordine degli infermieri (Fnopi) in tema di uso dei dati informatizzati va posta cura alla formazione e all’alfabetizzazione del personale del servizio sanitario «e si deve evitare di creare dei digital divide con i poveri cui il Ssn si rivolge». Per Riccardo Orsini (FNO-TSRM, i professionisti sanitari –tecnici di radiologia e laboratorio– producono moli di dati «che, se letti in modo gusto, possono aiutare transizioni organizzative nella sanità. Ma questi dati una volta inseriti vanno organizzati ed indicizzati. Chi lo farà e come?»
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