Obesità
02 Dicembre 2025L’Italia è il primo Paese al mondo con una legge che riconosce l’obesità come malattia cronica. Ma servono percorsi omogenei, PDTA nazionali e una presa in carico realmente multidisciplinare.
Definire un modello nazionale di presa in carico davvero equo, efficace e sostenibile per l’obesità. È il punto di partenza dell’incontro “Obesità e Salute – Verso un accesso adeguato e sostenibile alla cura”, promosso da Edra S.p.A. con il supporto non condizionante di Novo Nordisk, che al Centro Studi Americani ha riunito istituzioni, società scientifiche, economisti sanitari e associazioni di pazienti per delineare un nuovo modello nazionale di presa in carico. La cornice normativa è segnata dalla Legge 741/2025, la cosiddetta Legge Pella, che per la prima volta riconosce formalmente l’obesità come malattia cronica. «Questa legge nasce da un percorso condiviso, costruito insieme al mondo scientifico e ai pazienti», ha dichiarato l’On. Roberto Pella, promotore del provvedimento. «L’Italia è il primo Paese al mondo ad aver approvato una normativa di questo tipo. Ora dobbiamo completare l’iter con l’inserimento nei LEA, perché il Paese chiede risposte concrete».
L’inserimento dell’obesità nel Piano Nazionale della Cronicità rappresenta infatti un altro passaggio chiave verso un approccio più organico alla patologia. Ma, come emerso dal confronto, il sistema presenta ancora molte criticità: disomogeneità territoriali, accesso non uniforme ai percorsi multidisciplinari, carenza di centri specializzati e insufficienti livelli di integrazione tra ospedale e territorio. Un passaggio che, per il mondo scientifico, segna un cambiamento culturale profondo. «Questa legge è un risultato straordinario, frutto di una collaborazione autentica tra scienza, medicina e politica», ha sottolineato Andrea Lenzi, Presidente del CNR. «Riconosce la natura pandemica dell’obesità e la necessità di un approccio multidisciplinare. Ora dobbiamo far vivere la norma: formare i professionisti, informare i cittadini e intercettare precocemente i pazienti».
Secondo i dati illustrati nel corso dell’evento, in Italia oltre 5,8 milioni di adulti convivono con l’obesità, con un incremento del 38% negli ultimi vent’anni. Un carico che si traduce in oltre 13,34 miliardi di euro l’anno tra costi sanitari diretti e perdita di produttività. Ma il peso non è solo clinico ed economico: lo stigma continua a ostacolare diagnosi, terapia e continuità assistenziale. Il mondo clinico ha messo in evidenza la necessità di un’organizzazione realmente integrata. Per Gianluca Aimaretti, past president SIE, la sfida è «trasformare il principio in pratica clinica». «La multidisciplinarità non può essere uno slogan: servono percorsi strutturati, risorse dedicate e formazione per riconoscere e trattare l’obesità come malattia cronica con oltre 200 complicanze».
Di grande rilievo l’attenzione al rischio cardiovascolare. «Oltre il 70% delle morti associate a obesità è legato a complicanze cardiovascolari», ha ricordato Pasquale Perrone Filardi, presidente SIC. «Oggi abbiamo strumenti efficaci per ridurre questi rischi, con vantaggi anche in termini di sostenibilità. Curare l’obesità significa prevenire i costi futuri delle comorbilità».
Sul versante psicologico, il quadro è altrettanto impegnativo. «Lo stigma pesa come una seconda malattia», ha spiegato il David Lazzari, presidente BENEPSYS. «La prevenzione deve includere fattori psicologici, già dall’infanzia. E serve una rete che integri medico, psicologo e interventi comportamentali, superando la logica della colpevolizzazione».
Le associazioni dei pazienti hanno richiamato l’attenzione sulle forti disuguaglianze territoriali. «Non ovunque ci sono centri dedicati, e molti non sanno a chi rivolgersi», ha affermato Tiziana Nicoletti (CnAMC). «Quasi il 90% dei pazienti percepisce lo stigma come un ostacolo alla cura. Servono supporto psicologico, PDTA chiari e una reale attuazione del Piano della Cronicità». Un messaggio condiviso anche da Iris Zani, presidente FIAO: «I pazienti vogliono sapere a cosa hanno diritto. L’inserimento nei LEA e un PDTA nazionale sono essenziali. La multidisciplinarità deve includere anche il percorso psicologico, spesso il più difficile».
Gli economisti sanitari hanno richiamato l’importanza di superare la logica dei “silos” nei processi decisionali. «Un aumento della spesa farmaceutica non è un costo, ma un investimento», ha osservato Paolo Sciattella (Università Tor Vergata). «La valutazione deve considerare l’intero impatto: complicanze evitate, minori ospedalizzazioni e miglioramento della qualità di vita». «L’obesità genera costi indiretti enormi, che vanno oltre le analisi tradizionali», ha aggiunto Massimo Riccaboni (IMT Lucca). «Serve una strategia che garantisca accesso equo e sostenibilità di lungo periodo, anche attraverso partnership pubblico-private».
Dal mondo delle società scientifiche è arrivato un forte invito a trasformare la legge in un modello operativo. «La legge getta basi solide, ma da sola non basta», ha precisato Silvio Buscemi, presidente SIO. «L’Italia ha PDTA regionali e reti hub & spoke, ma servono linee guida nazionali adattate alle diverse realtà territoriali». Un approccio sistemico è la strada da seguire, ha ribadito il Prof. Eugenio Di Brino (Università Cattolica): «Ora inizia il lavoro duro: uniformare i PDTA, rafforzare la prevenzione e costruire una governance che unisca innovazione terapeutica e organizzativa». Chiude Roberta Siliquini, past president SItI, con un richiamo al ruolo della prevenzione e della comunicazione pubblica: «L’obesità nasce spesso da fattori ambientali e culturali. Servono città che favoriscano stili di vita sani, informazione chiara e una cabina di regia nazionale. Non possiamo permetterci di aumentare del 10–15% la quota di popolazione malata nei prossimi vent’anni».
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