Governo e Parlamento
17 Luglio 2024In Parlamento si discute come proporre nel 2025 i nuovi livelli essenziali di assistenza a fronte di un fondo sanitario rifinanziato con estrema cautela; invece, dal convegno “dall’economia al primato della persona” tenuto alla presentazione del rapporto Fnomceo-Censis
Il metodo dei medici per finanziare la sanità è l’opposto di quello degli economisti: in Parlamento si discute come proporre nel 2025 i nuovi livelli essenziali di assistenza a fronte di un fondo sanitario rifinanziato con estrema cautela; invece, dal convegno “dall’economia al primato della persona” tenuto alla presentazione del rapporto Fnomceo-Censis i medici invitano al percorso opposto: si calcoli quanto serve agli italiani per stare bene e si finanzi di conseguenza altrimenti il paese continuerà a declinare.
Mario Del Vecchio Economista, Professore Affiliato presso SDA Bocconi nel suo intervento parte dall’idea che con le loro tasse gli italiani non possono costruire un montante molto più alto per il Fondo sanitario. «In Italia si spende di meno che nel resto d’Europa per la cura della salute, tra pubblico e privato siamo al 9% del reddito pro-capite. Non è aumentata nemmeno la spesa privata (10 miliardi di farmaci, 10 di odontoiatria e 10 di specialistica ambulatoriale). Difficile immaginare cambiamenti significativi delle risorse pubbliche. Bisognerebbe ragionare su come allineare le attese della popolazione alle risorse che abbiamo». Del Vecchio propone alcune strade: Primo, «siccome un quarto delle risorse sono private dovremmo interrogarci su come le risorse sostenute dal reddito dei cittadini possano essere riportate all’interno dei percorsi pubblici, per non duplicare spese. Non possiamo permetterci duplicazioni di prestazioni identiche come, ad esempio, le mammografie offerte ai bancari dai fondi integrativi e in parallelo nello screening del Ssn». Altra soluzione, «aiutare gli italiani a spendere meglio, forse la cosa più difficile da digerire. Dovremmo conferire maggior efficacia ad ogni euro che gli italiani spendono a tutela della propria salute. Ad esempio, in farmacia gli italiani spendono out of pocket 9-10 miliardi per le medicine e 4 miliardi vanno agli integratori. Si desume che una parte della spesa a tutela della salute è di efficacia un po’ diversa e forse si dovrebbe cambiare qualcosa». Nella successiva tavola rotonda spicca il contributo di Nino Cartabellotta che ammette come la spesa privata ristagnante sotto i 30 miliardi sia “frutto di una crescente rinuncia alle cure”. Il presidente della Fondazione Gimbe è d’accordo con Del Vecchio sulla necessità di rivedere le prestazioni poste a carico del servizio sanitario pubblico. «Sono le stesse di 15 anni fa, quando la nostra spesa sanitaria era ai livelli del resto d’Europa. Ma il paniere delle prestazioni offerte è cambiato. Oggi dovremmo chiederci se sia giusto che lo stato paghi una specialistica ambulatoriale a bassa complessità, spesso già coperta dalle assicurazioni, tollerando nel contempo che tutte le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza siano a carico del servizio sanitario pubblico solo in alcune parti della Penisola».
I rappresentanti dei medici la pensano diversamente, soprattutto sul territorio. Il presidente Fnomceo Filippo Anelli, medico di famiglia d’estrazione, ha raccomandato il passaggio da un modello dove prima si definiscono le risorse e poi le si ottimizzano al fine di centrare gli obiettivi di efficienza assistenziale ad un modello che invece definisca prima gli obiettivi di salute e gli strumenti assistenziali per poi individuare tutte le risorse necessarie. Nella tavola rotonda subito successiva all’intervento di Del Vecchio, Silvestro Scotti, Fimmg, riprende i concetti di Anelli: «Il punto non è rivedere ogni volta il diritto alla salute in base alle risorse disponibili, ma organizzare i bilanci dello stato e delle regioni in modo che il diritto alla salute sia reso incomprimibile».
Ai medici di famiglia si rivolgono infine Walter Bergamaschi e Tiziano Carradori, rispettivamente DG ATS Milano ed Ausl Romagna. Bergamaschi riflette sulla riforma dell’assistenza territoriale, il DM 77 con le nuove case di comunità. «L’obiettivo oggi è tornare ad investire sul territorio, là dove i bisogni sanitari nascono, vengono intercettati e possono essere trasformati in prestazioni appropriate. Oggi c’è un crescente disallineamento tra una domanda di salute spesso indotta, con prestazioni che non servono al paziente, ed un’offerta sospesa tra i vincoli alla produzione del Ssn e la spinta ad una produzione privata. Occorre tornare a gestire la salute del paziente là dove vive, nell’assistenza primaria».
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