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26 Gennaio 2023 Con il cambio di sede in una zona altamente strategica a nord-ovest di Milano, si apre per l’IRCCS Ospedale Ortopedico Galeazzi una nuova era per la ricerca clinica. Ne ha parlato con Giuseppe Banfi, direttore scientifico dell’Istituto, “Progettare per la Sanità”
Con il cambio di sede in una zona altamente strategica a nord-ovest di Milano, si apre per l’IRCCS Ospedale Ortopedico Galeazzi una nuova era per la ricerca clinica. Ne ha parlato con Giuseppe Banfi (in foto), direttore scientifico dell’Istituto, “Progettare per la Sanità”.
L’IRCCS Ospedale Ortopedico Galeazzi da molti anni rappresenta una realtà di primo piano a livello nazionale nell’ambito della clinica e della ricerca in questo settore. Dal mese di agosto ha cambiato sede, trasferendosi dall’area centrale metropolitana a quella del nuovo quartiere MIND (Milano Innovation District) a nord-ovest del nucleo cittadino, in una struttura fortemente rinnovata e all’avanguardia, strettamente connessa a molte altre realtà scientifiche e tecnologico-industriali di livello internazionale. Un’altra importante novità è costituita dal fatto che, contestualmente al trasferimento, ora il Galeazzi è riunito alla Clinica Sant’Ambrogio (anch’essa appartenente al Gruppo San Donato), assumendo pertanto la denominazione di IRCCS Galeazzi-Sant’Ambrogio.
Prof. Banfi, quali sono i punti di forza dell’Ospedale Galeazzi di Milano per cui è riconosciuto come struttura di riferimento a livello regionale, nazionale e non solo?
Il punto di forza dell’ospedale è chiaramente costituito dall’ortopedia. Il Galeazzi è noto per questa disciplina è ha un’ottima reputazione in questo ambito, anche perché ormai è il primo ospedale in Italia per numero di protesi di ginocchio e anca, oltre che per attività di chirurgia vertebrale. Inoltre, insieme al riconosciuto valore qualitativo dell’Istituto, è rilevante anche l’aspetto quantitativo, testimoniato dalla notevole attività svolte nella struttura, considerando che circa il 50% dei pazienti giunge da Regioni diverse dalla Lombardia. Si tratta, a tutti gli effetti, di un ospedale a carattere nazionale. Adesso, con l’unificazione con la Clinica Sant’Ambrogio, si aggiunge un’attività di alta qualità nell’ambito cardiovascolare, sia come interventistica sia come cardiochirurgia, accanto a quella di tipo ortopedico. Pertanto, questi sono i due punti forza: quello tradizionale del Galeazzi, l’ortopedia, e l’esperienza cardiovascolare maturata dalla Sant’Ambrogio.
Questa nuova organizzazione basata sulle due discipline così apparentemente distanti consentirà comunque una maggiore collaborazione tra gli specialisti?
Certamente. Innanzitutto, va precisato che l’ortopedia e la cardiologia rappresentano le due aree principali, ma noi abbiamo naturalmente anche tutte le altre specialità perché, in realtà, ormai il Galeazzi è un ospedale generale. Indubbiamente alcuni interventi particolarmente complessi di ortopedia, che richiedono il chirurgo vascolare o il chirurgo generale possono essere effettuati senza consulenze esterne, come avveniva in precedenza, proprio perché adesso abbiamo direttamente tutte le competenze. Inoltre, la possibilità di avere specialisti con esperienza di alto livello permette anche di innalzare la qualità degli interventi.
La nuova struttura in cui opera consente di promuovere, coordinare e regolare meglio l’attività scientifica rispetto alla sede precedente? Quali sono, a suo avviso, i progressi più significativi - in termini di risorse umane e strumentali – conseguenti al trasferimento?
Chiaramente avevamo già una notevole attività scientifica nell’ambito dell’ospedale che abbiamo lasciato, un’attività che vogliamo non solo continuare ma incrementare nell’ospedale attuale. Il fatto di avere ora a disposizione dei laboratori completamente nuovi e degli spazi adeguati ci consente di prevedere prospettive di miglioramento sia quantitativo sia qualitativo della nostra ricerca, considerando che questa nuova dislocazione, con nuovi spazi e nuovi laboratori, permette anche di reclutare ulteriori ricercatori: questo costituisce sicuramente un elemento fondamentale. A ciò si aggiunge anche l’arrivo di altri gruppi, come appunto quello cardiovascolare, oppure di altre specialità come, per esempio, la reumatologia o la chirurgia bariatrica che hanno permesso di ampliare gli ambiti di interesse della nostra ricerca. Inoltre, va sottolineata la presenza dell’Istituto in MIND, dove abbiamo vicini Human Technopole (nuovo istituto di ricerca per la genomica), l’Università di Milano, con cui abbiamo un accordo quadro in quanto ospedale universitario (già in essere con le precedenti sedi del Galeazzi e della Clinica Sant’Ambrogio) e Federated Innovation, cioè l’associazione delle industrie pubbliche e private che si sono allocate appunto presso il MIND. Questa vicinanza con altre strutture di ricerca, realtà accademiche e l’industria permetterà sicuramente un avanzamento della nostra ricerca. Pertanto, volendo riassumere gli aspetti fondamentali: nuovi spazi, nuovi laboratori, nuovi campi di ricerca per la presenza di nuovi gruppi, collocazione all’interno di MIND e quindi collaborazione con la altre cosiddette “ancore” di MIND, in particolare Human Technopole, Università di Milano e Federated Innovation.
Quali sono gli ambiti patologici di particolare rilevanza che sono trattati, sia in termini di prevalenza sia in termini di ambiti di ricerca in cui gli interventi di alta specialità sono più avanzati?
Chiaramente il fulcro della ricerca sono l’ortopedia e le malattie metaboliche dell’osso. A questo punto, però, ci apriamo all’ambito cardiovascolare, alla reumatologia e allo studio della chirurgia dell’obesità: questi sono i principali argomenti su cui lavoreremo. Accanto a questi, ci sarà un’attenzione particolare al cosiddetto trasferimento tecnologico: qualche nostro prodotto o qualche nostra invenzione può essere proposta all’industria e qui, appunto, la vicinanza con Federated Innovation in MIND è fondamentale.
Che valore assume la medicina traslazionale nel vostro IRCCS? In che modo si cerca di perseguire l’obiettivo di supportare amministrativamente e tecnicamente la ricerca e di favorire lo scambio continuo di informazioni tra il laboratorio e la clinica?
Per tradizione, ogni progetto di ricerca ufficiale del Galeazzi ha uno scopo traslazionale cioè è diretta al paziente, quindi auspicabilmente a migliorare sia la procedura che viene utilizzata sull’assistito sia la qualità della vita del paziente. Si tratta di un elemento per noi fondante, quindi la nostra è solo medicina traslazionale e vogliamo incrementare ancor più questa caratteristica con il miglioramento del trasferimento tecnologico verso l’industria e quindi dell’utilizzo diffuso delle nostre conoscenze anche attraverso la cooperazione con MIND.
Può fare qualche esempio?
Abbiamo fondato, insieme all’Istituto Rizzoli di Bologna, una rete degli IRCCS che si occupano anche di malattie dell’osso che si chiama RAMS (Rete Apparato Muscolo-Scheletrico). Inoltre, stiamo collaborando con altri ospedali di ricerca italiani e nell’ambito di società internazionali di ortopedia dove molti dei nostri ricercatori e medici sono inseriti ai più alti livelli, divenendo – per così dire – “testimonial” della nostra attività in Europa e nel mondo. Il tema della medicina traslazionale per noi è dunque fondamentale in quanto vogliamo svolgere questa attività nei diversi ambiti che sono a noi pertinenti: per esempio la medicina rigenerativa, l’ingegneria tissutale, i marcatori biologici che possono essere utilizzati per diagnosticare o monitorare una malattia, la biomeccanica (con lo studio del movimento prima e dopo un intervento), l’intelligenza artificiale per gestire i big data e supportare la refertazione nell’ambito della diagnostica per immagini, in particolare di tipo radiologico. Questi sono i principali ambiti dove vogliamo lavorare attraverso la medicina traslazionale.
Nella nuova struttura ritiene che, nell’ambito della pratica clinica, sia favorito il lavoro dei team multidisciplinari? Come si differenzia il concetto di interdisciplinarietà tra specialità mediche e ambiti conoscitivi coinvolti nella ricerca traslazionale?
Nell’ambito clinico chiaramente c’è l’interdisciplinarietà tra le diverse specialità mediche e questo è più evidente rispetto all’ambito della ricerca dove abbiamo biotecnologi, ingegneri (specie nel settore ortopedico e riabilitativo), fisioterapisti, specialisti in scienze motorie: quindi figure con competenze molto diverse e che possono derivare non solo da più lauree ma proprio da differenti esperienze.
La laurea, il dottorato o la carriera accademica sono solo un punto di partenza perché poi appunto contano l’esperienza e l’attitudine verso una particolare forma di ricerca. È chiaro che l’interdisciplinarietà è comune anche nell’ambito medico, dove si configura come collaborazione tra specialisti. Per noi, per esempio, è fondamentale quella tra il radiologo e l’ortopedico. Nel complesso, nel Galeazzi l’interdisciplinarietà è classicamente accentuata, sia in ambito medico ma, in modo particolare, nel settore della ricerca.
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