Alzheimer
23 Aprile 2025Per decenni, la medicina ha potuto offrire ai pazienti con Alzheimer solo trattamenti sintomatici. La neurologa del San Raffaele: “Ora possiamo rallentare la malattia, ma serve diagnosi precoce e accesso equo alle nuove terapie”
Per decenni, la medicina ha potuto offrire ai pazienti con Alzheimer solo trattamenti sintomatici, in grado di attenuare alcuni disturbi senza incidere sulla progressione della malattia. Oggi però, come sottolinea Federica Agosta, neurologa e direttrice dell’Unità di Neuroimaging delle malattie neurodegenerative all’IRCCS San Raffaele, “la prospettiva è cambiata”. “Stiamo vivendo un momento cruciale per la ricerca sull’Alzheimer – afferma –. Abbiamo finalmente capito che i meccanismi alla base della neurodegenerazione sono legati all’accumulo di due proteine, beta-amiloide e tau. Gli anticorpi monoclonali attualmente sviluppati agiscono proprio su queste proteine, rimuovendole e rallentando l’avanzata della malattia”.
Le terapie innovative, come Donanemab e Lecanemab, mostrano nei dati clinici un rallentamento medio della progressione del 30%, con benefici più marcati in alcuni pazienti, soprattutto se trattati nelle fasi iniziali della malattia. “Non è una cura definitiva – precisa Agosta – ma è il primo vero passo per intervenire precocemente e modificare la traiettoria clinica della demenza. È per questo che oggi, oltre ai farmaci, la diagnosi precoce diventa fondamentale”. Nonostante queste prospettive, l’accesso alle nuove terapie resta un nodo critico, soprattutto in Europa. La recente decisione del Comitato per i Medicinali per Uso Umano dell’EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) di non autorizzare l’immissione in commercio di Donanemab ha riacceso il dibattito tra innovazione, sicurezza e equità.
“Una scelta troppo conservativa – commenta la neurologa –. Avrei preferito un’approvazione con indicazioni ristrette e controllate, piuttosto che un blocco totale. È un atteggiamento che rischia di isolare l’Europa dal resto del mondo, dove il farmaco è già disponibile: Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Corea, Israele, solo per citarne alcuni”. Il vero problema, secondo Agosta, è il rischio di creare disuguaglianze: “Chi potrà permetterselo andrà all’estero a curarsi. Ma non possiamo permettere che solo chi ha risorse economiche possa accedere a terapie salvavita. Non è questo il modello sanitario equo che l’Europa ha sempre difeso”. La neurologa invita quindi a riconsiderare la posizione europea: “L’Alzheimer è una malattia irreversibile, devastante e costosa. Non possiamo rallentare l’innovazione, né lasciare indietro i nostri pazienti. È il momento di essere coraggiosi, ma anche responsabili”.
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