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Governo e Parlamento

21 Giugno 2023

Medicina generale, il ministro incontra i sindacati e annuncia quattro tavoli. Ecco i temi

Si aggiunge un terzo tassello alla riforma della medicina generale, dopo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che ha formalizzato case ed ospedali di comunità ed il decreto 77 sugli standard della nuova assistenza territoriale. L’abbozzo arriva da dichiarazioni del ministro della Salute Orazio Schillaci


Medicina generale, il ministro incontra i sindacati e annuncia quattro tavoli. Ecco i temi

Si aggiunge un terzo tassello alla riforma della medicina generale, dopo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che ha formalizzato case ed ospedali di comunità ed il decreto 77 sugli standard della nuova assistenza territoriale. L’abbozzo arriva da dichiarazioni del ministro della Salute Orazio Schillaci che ieri incontrando i sindacati confederali ha annunciato l’avvio di un tavolo di consultazione e confronto sulla riforma del territorio. Al termine dell’incontro il Ministro ha annunciato anche la partenza di quattro tavoli: per il contratto della sanità pubblica, per il nuovo contratto dell’ospedalità privata, per le residenze sociosanitarie e sulle liste d’attesa. «Vogliamo investire sul capitale umano e per dare ai cittadini una sanità migliore. Oltre ad avere più risorse è necessario ristrutturare il sistema che abbiamo trovato e incentivare gli operatori», ha dichiarato Schillaci. E in effetti, in un contesto dove il PNRR è in parte irrealizzato, con gravi ritardi sulla costruzione degli edifici (309 case su 1430 e 91 ospedali di comunità su 381 stanno per essere finanziati da fondi italiani per arrivare prima), il fronte che Schillaci apre è quello complementare del personale, indispensabile per riempire i nuovi studi. Purtroppo, le due nuove tipologie di struttura, ospedali e “case”, rischiano di soffrire di carenza non solo di medici di famiglia ma soprattutto di infermieri; e mancano medici specialisti ambulatoriali. Si tratta delle tre figure che dovrebbero portare la diagnostica più vicina a casa dei pazienti, sia nelle case di comunità “hub” dei grandi distretti sia in quelle “spoke” costruite qualche volta da gruppi di medici di famiglia.  La svolta potrebbe essere rappresentata dall’uovo di Colombo: il ricorso agli operatori sociosanitari al posto degli infermieri. La proposta è dello stesso Ministro della Salute, che ha incontrato Cgil-Cisl-Uil protagonisti il 15 giugno scorso delle marce a difesa della sanità pubblica con i sindacati della dirigenza medica e con le associazioni dei pazienti; poi dovrebbe vedere i sindacati autonomi di categoria, molti di essi più scettici sulla dipendenza.

Schillaci sottolinea come gli infermieri abbiano un percorso formativo lungo e complesso: dopo la laurea triennale, scelgono in molti casi la laurea biennale specialistica o il dottorato di ricerca. Il Ministro valuta di individuare operatori con percorsi formativi più brevi ovvero infermieri professionali di altre nazioni che hanno come l'Italia un percorso di laurea di alto livello (India, ndr) per far fronte, specie sul territorio, alla carenza di risorse che si profila almeno nei prossimi 3 anni. Il medico di famiglia affiancato dall’Oss (ma gli infermieri che lavorano negli studi dei mmg che fine fanno?) lavorerebbe nella casa di comunità con alle spalle due tipologie di contratto che inizialmente convivrebbero: la convenzione del ruolo unico, ad ore e/o scelte, già esistente, ed il rapporto di dipendenza dal Servizio sanitario regionale che caratterizzerebbe i più giovani. Da una parte, con ruolo ad esaurimento, ci sarebbero i medici convenzionati dall’età media elevata e con personale da loro assunto (collaboratori ed infermieri), e all’atto del pensionamento la convenzione non sarebbe rinnovata; dall’altra i medici giovani assunti in CdC sarebbero tutti specialisti. Già perché il terzo pilastro della riforma evocata dal ministro sarebbe la trasformazione dell’attuale corso regionale di tirocinio triennale in corso di specialità universitario, dalla durata da definire, con la possibilità di attingere a specializzandi per colmare zone carenti. C’è poi un addentellato e riguarda gli specialisti ambulatoriali, quelli convenzionati con le Asl, gran parte dei quali – fino al 42% – oggi è impegnato per meno di 10 ore a settimana. Qui le regioni sono di fronte ad un bivio: portare a 38 le ore settimanali in convenzione costa di più o di meno che far passare questo personale medico del SSN a dipendenza? Infine, il rapporto con l’ospedale: i malati da accettare in ospedale non dovrebbero più transitare dal pronto soccorso, intasandolo, quando sono inviati dal medico curante, ma essere ammessi direttamente nel reparto per il ricovero. Schillaci al termine del colloquio con i sindacati ha indicato due grandi problemi da superare grazie ad una sanità territoriale rinnovata: «le liste d’attesa ed i pronti soccorso ingolfati».

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