Europa
17 Gennaio 2023 Grazie al green pass, le restrizioni di viaggio sono state più coordinate tra i paesi dell'Unione agevolando i viaggi durante la pandemia. Lo afferma una relazione della Corte dei conti europea, invitando l'Ue a prepararsi meglio per affrontare più efficacemente eventuali emergenze future
Grazie al green pass, le restrizioni di viaggio sono state più coordinate tra i paesi dell'Unione agevolando i viaggi durante la pandemia. Lo afferma una relazione della Corte dei conti europea, invitando l'Ue a prepararsi meglio per affrontare più efficacemente eventuali emergenze future. L’impatto di altri strumenti, invece, è stato modesto. Emblematico è il caso del Plf (il nome ufficiale dei moduli di viaggio che sta per Passenger locator form). Solo quattro Stati membri hanno utilizzato il modulo digitale dell’UE per la localizzazione dei passeggeri e, su quasi 27 milioni di moduli rilasciati fino a febbraio 2022, più di 9 su 10 provenivano da un unico Stato membro dell’UE: l’Italia. Analogamente, la piattaforma di scambio non è stata quasi mai usata: a fine febbraio 2022 vi erano stati caricati solo 256 moduli (tutti provenienti dalla Spagna, tranne uno), si legge nella relazione. Ciò significa che sebbene ai viaggiatori italiani venisse richiesto il form per viaggiare, il modulo non veniva trasmesso agli altri Paesi Ue, vanificando di fatto il suo compito.
Il green pass è stato usato da tutti gli Stati membri (e da altri 45 Stati o territori), con oltre 1,7 miliardi di certificati emessi a fine marzo 2022. «Per coordinare le restrizioni alla libertà di circolazione e agevolare i viaggi era cruciale che tutti i paesi dell’UE adottassero strumenti comuni, nonostante ci trovassimo in una situazione senza precedenti - affermata Baudilio Tomé Muguruza, il Membro della Corte responsabile dell’audit - Non tutti gli strumenti dell’UE sono stati utilizzati dagli Stati membri e il successo riscosso dal certificato COVID digitale non si è replicato con gli altri strumenti». L’impiego delle applicazioni di tracciamento dei contatti è stato molto diversificato e, a maggio 2022, i dati presenti nel gateway erano stati generati prevalentemente (83 %) da utenti della sola Germania. Di fatto, il certificato COVID digitale dell’UE è stato l’unico strumento usato da tutti gli Stati membri, oltre che addirittura da 45 paesi e territori che non fanno parte dell’Unione. A fine marzo 2022 erano stati emessi più di 1,7 miliardi di certificati.
Gli auditor della Corte hanno rilevato che la Commissione europea aveva mobilitato finanziamenti in tempi rapidi e aveva adottato un approccio pragmatico allo sviluppo degli strumenti in condizioni di emergenza. Il gateway per il tracciamento dei contatti è entrato in funzione solo sette mesi dopo l’inizio della pandemia, mentre il certificato COVID digitale dell’UE è stato ultimato prima che i paesi dell’UE completassero i piani di vaccinazione. I moduli di localizzazione dei passeggeri, invece, sono stati sviluppati troppo tardi, quando alcune soluzioni nazionali erano già disponibili. Gli auditor concludono che solo il certificato COVID digitale dell’UE ha contribuito a coordinare le restrizioni di viaggio tra i paesi dell’UE ed è servito ad agevolare i viaggi durante la pandemia di COVID-19. Infine, l’audit segnala la mancanza di procedure specifiche per utilizzare questi strumenti a più lungo termine o riattivarli in fretta qualora si rendessero nuovamente necessari. Ad esempio, l’attuale base giuridica per il certificato COVID digitale dell’UE non sarà più valida dal prossimo giugno e, per rinnovarla, occorrerà seguire l’iter legislativo convenzionale dell’UE.
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