Medicina
17 Novembre 2023Per colpa dei 34mila decessi registrati ogni anno, il cancro in questa sede fa paura ma non spinge a svolgere gli screening per la diagnosi precoce anche chi è più a rischio, come i forti fumatori o chi ha familiarità
Gli italiani davanti alla possibilità di fare prevenzione per il tumore al polmone preferiscono in molti casi nascondere la testa sotto la sabbia. Nonostante sia considerato un big killer, per colpa dei 34mila decessi registrati ogni anno, il cancro in questa sede fa paura ma non spinge a svolgere gli screening per la diagnosi precoce anche chi è più a rischio, come i forti fumatori o chi ha familiarità. In base a un’indagine condotta da Iqvia, per Roche Italia, e presentata a Roma, il 25% di un campione di 600 persone si dichiara fumatore mentre il 19% lo è stato in passato. Fra i fumatori, sette individui su dieci convivono con condizioni di salute croniche e uno su tre ha un approccio passivo nei confronti della propria salute. Fra chi fuma, il 50% è orientato attivamente alla prevenzione ma dalla ricerca emergono ancora delle barriere che si interpongono con gli screening, fra cui quelle psicologiche ed emozionali.
Paure da sfatare
“Il tumore al polmone è visto ancora come una malattia incurabile”, commenta Daniele Esposito, ricercatore senior di Iqvia. I fumatori, in particolare, si sentono in colpa perché riconoscono che la causa della eventuale neoplasia potrebbe essere causata dalla dipendenza. “C’è poi – continua Esposito - la paura di sentirsi dire che devono smettere di fumare e per questo evitano il confronto ma sentono allo stesso tempo l’esigenza di fare i controlli”. Alla base, c’è una scarsa informazione e conoscenza delle possibili terapie. “Molti pochi fumatori – aggiunge - sanno che si può fare qualcosa. E sugli screening, immaginano che siano esami invasivi. Il mito più forte da sfatare è pensare che quando si scopre il tumore sia troppo tardi. Nessuno pensa che esista uno screening gratuito e c’è una forte sfiducia verso il Servizio sanitario nazionale. In più hanno paura di diventare un peso per la propria famiglia”.
Terapie migliorate
Pur non essendoci ancora uno screening nazionale, un passo importante nella prevenzione per il tumore al polmone è stato fatto grazie al progetto Risp, finanziato dal ministero della Salute e condotto in 18 centri in 15 regioni. A un anno dall’avvio, sono state fatte 9mila Tac toraciche a bassa dose di radiazioni, completamente gratuite per i soggetti a rischio. Per invitare le persone a cambiare il proprio stile di vita ed essere sensibili alla prevenzione, secondo Silvia Novello, ordinario di oncologia medica dell’Università degli studi di Torino e presidente di Walce onlus, i messaggi di prevenzione dovrebbero essere personalizzati. Nel frattempo, le cure oncologiche sono migliorate, “grazie alla immunoterapia e alla terapia a bersaglio molecolare - spiega la docente -. L’obiettivo è ridurre i numeri di casi e la mortalità. Al contempo, vorremmo raggiungere l’obiettivo di rendere i pazienti più operabili e guaribili”.
Estensione del progetto
I buoni risultati raggiunti finora dal progetto Risp invitano a proseguire sulla strada e far salire l’asticella. Grazie a un programma nazionale si potrebbero raggiungere 150mila soggetti in tre anni, come prevede Giulia Veronesi, direttrice del programma di chirurgia robotica toracica dell’Ircss Ospedale San Raffaele. “Per sostenere il programma c’è una governance e le linee guida, occorre vedere se il governo vuole porre come priorità il costo economico da affrontare. Il tema ora è allinearsi con la politica per poter tirare fuori i finanziamenti e partire perché abbiamo visto che con il Risp che è possibile”.
Impegno delle istituzioni
“La prevenzione è al centro del piano oncologico nazionale, che prevede uno stanziamento di 50 milioni di euro”, afferma Ugo Cappellacci, presidente della XII commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, in un videomessaggio. “Inoltre – aggiunge - vale la pena considerare che l'investimento sullo screening polmonare può portare a benefici maggiori rispetto ai costi necessari per garantire tale programma. Fondamentale quindi impiegare nuove risorse a supporto della Salute, un supporto che non va considerato una spesa ma il migliore investimento e la migliore riforma che si possa attuare”.
Partner di un sistema
Creare un partenariato diffuso fra clinici, media, aziende, pazienti e farmacie è il messaggio che lancia infine Roche. “Promuoviamo la ricerca – rammenta Amelia Parente, direttore dell’area rare disease, government affairs and transformation dell’azienda -. Rispetto alla logica di partenariato siamo molto impegnati in tante aree terapeutiche, come per esempio le maculopatie o lo screening per il tumore al seno. Il fatto che oggi entri nel dibattito pubblico della sanità la parola investimento mi sembra una cosa da sottolineare. Abbiamo per anni interpretato la sanità come un costo mentre ora mi sembra una crucialità”.
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