Governo e Parlamento
03 Febbraio 2023 «Puntiamo a un’Italia più unita», così la premier Giorgia Meloni ha accolto l’approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge sull’autonomia differenziata delle regioni del Nord. L’ok è arrivato malgrado gli appelli dell’opposizione e dell’ordine dei medici
«Puntiamo a un’Italia più unita», così la premier Giorgia Meloni ha accolto l’approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge sull’autonomia differenziata delle regioni del Nord. L’ok è arrivato malgrado gli appelli dell’opposizione e dell’ordine dei medici che chiedevano di aspettare almeno il parere di una conferenza delle regioni sempre più spaccata tra Nord e Sud. Rivista all’ultimo momento in pre-consiglio dei ministri – per mitigarla in senso più centralista – la bozza presentata dal ministro degli Affari Regionali Roberto Calderoli (Lega Nord) concede alle regioni con reddito pro-capite e capacità contributiva maggiori, che ne hanno fatto richiesta, più poteri delle altre in tema di sanità, come di istruzione, lavoro, formazione, tutela dell’ambiente. In primis, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna. Nel Ddl non è dato capire se queste regioni potranno avere anche più soldi a scapito delle altre, trattenendo una parte delle imposte pagate allo stato. Rispetto alla bozza di dicembre su cui si erano spaccate le Regioni tra Nord e Sud ed anche maggioranza di centro destra pro-autonomia e l’opposizione critica (con varie distinzioni tra i partiti) nel testo approvato ci sarebbero quattro elementi che potrebbero venire incontro a chi al Sud chiede garanzie di tutela del diritto alla salute (e all’istruzione).
Quattro ammortizzatori - Intanto, l’accordo con cui lo Stato attribuisce funzioni di autonomia differenziata a una Regione è reversibile –sulla carta, in pratica meno– e ha una durata «non superiore a dieci anni». Di norma, alla scadenza si intende rinnovato. Con le stesse modalità con cui l’intesa tra lo stato ed una regione, da approvarsi con legge costituzionale, viene realizzata, essa su iniziativa dello Stato o della Regione interessata può essere modificata sempre con legge approvata dalle Camere a maggioranza assoluta. In secondo luogo, nell’iter che porta a legge l’intesa stato-regione, di 5-6 mesi complessivi se non di più, è coinvolto il Parlamento che si “prende” due mesi per l’esame. Il premier (o il ministro per gli Affari regionali) porrà il testo definitivo all’approvazione della regione, ed entro 30 giorni è prevista la delibera in Consiglio dei ministri. Il disegno di legge è trasmesso alle Camere che votano a maggioranza assoluta e adesso hanno 60 giorni per valutare l’accordo. In terzo luogo, punto chiave, prima di concludere intese vanno definiti, entro quest’anno, i livelli essenziali delle prestazioni –sanitarie e socio-sanitarie nel caso della tutela del diritto alla salute– che il servizio sanitario deve passare in tutta Italia come set minimo. Se si sforano i tempi, sarà istituito un commissario. Contro eventuali ritardi dell’apposita cabina di regia, la bozza Calderoli ammoniva che, se non si arriva a una quadra in un anno, i Lep vengono decisi sulla base della spesa storica, cioè su quanto ogni regione già spende; sono insorti i governatori del Sud, e in particolare il campano Vincenzo De Luca, reduci spesso da anni di commissariamento perché le risorse non bastavano. Nell’ultima bozza si sottolinea che i Lep vanno determinati da decreti del presidente del Consiglio, che avrebbe l’ultima parola (De Luca chiede un organismo indipendente dalla politica per le determinazioni). Ove nuovi Lep siano definiti dopo che stato e regione hanno chiuso un’intesa, la regione è tenuta ad adeguare le risorse assegnate ai Lep. Ulteriore livello di tutela dell’unità nazionale: premier o ministro dell’economia possono verificare se la regione rispetta l’intesa nell’erogare i Lep e una Commissione paritetica Stato-Regione annualmente valuta se di fatto per la sua autonomia la regione sta spendendo troppo. Tutto ok? No. A Capodanno il presidente Mattarella nel suo discorso ha invitato tutti i politici a fare attenzione a non aggravare le distanze e le diseguaglianze territoriali. Dal Sud una rete di 101 sindaci del movimento Recovery Sud gli ha scritto per chiedergli il ritiro della bozza Calderoli ed un confronto con i Comuni.
Come si è arrivati al Ddl – La Costituzione, dopo la riforma del titolo V approvata nel 2001, all’articolo 116 consente a ogni Regione a statuto ordinario di chiedere un ampliamento delle proprie competenze legislative in 23 materie molto rilevanti, tra cui tutela della salute ma anche previdenza complementare ed organizzazione tributaria. In queste materie le Regioni chiedono di avere la potestà legislativa, beninteso muovendosi entro principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato. Non ci sono solo Lombardia Veneto ed Emilia-Romagna in lista per un’intesa. Però, nel 2017, Lombardia e Veneto hanno chiesto di gestire tutte e 23 le materie, l’Emilia-Romagna 15, il Piemonte 12. La Liguria ha chiesto la gestione esclusiva di grandi reti di trasporto e navigazione e persino Puglia e Campania hanno approvato pronunciamenti pro-autonomia, specie in materia di sanità. Anche nelle Regioni che non concludono intese, lo Stato promuove “l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali”, anche con interventi speciali.
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