sanità
17 Novembre 2022 Sono già 100 i ricorsi presentati ai Tar dalle aziende dei dispositivi medici sull’attuazione del cosiddetto payback, il sistema di tassazione che obbliga le imprese a un esborso di oltre 2 miliardi di euro per ripianare lo sforamento dei tetti di spesa da parte delle Regioni
Sono già 100 i ricorsi presentati ai Tar dalle aziende dei dispositivi medici sull’attuazione del cosiddetto payback, il sistema di tassazione che obbliga le imprese a un esborso di oltre 2 miliardi per ripianare lo sforamento dei tetti di spesa da parte delle Regioni. E proprio in questi giorni – fanno sapere molte aziende - stanno arrivando a pioggia le lettere delle Regioni con richiesta di pagamento del payback per il periodo 2015-2018 da evadere entro 30 giorni. Si tratta di un’istanza che non solo mette le imprese, già in difficoltà dalla crisi energetica e delle materie prime, davanti al rischio chiusura, ma comporta un grosso pericolo per la salute pubblica: queste imprese potrebbero non riuscire a garantire le forniture di prodotti, anche salvavita, agli ospedali e i servizi a essi correlati.
“Se il Governo non cancella il payback – ha dichiarato il Presidente di Confindustria Dispositivi Medici, Massimiliano Boggetti - deve avere il coraggio di dire chiaramente ai cittadini che non è in grado di erogare salute pubblica. Se non viene fatta una seria programmazione sanitaria e si continuano a bandire gare la cui somma dei valori aggiudicati supera il fondo sanitario regionale a disposizione, le Regioni proseguiranno a sforare i tetti di spesa tutti gli anni. Il payback con i tetti di spesa imposti non è altro che un modo per spostare sulle aziende fornitrici una parte dei costi sanitari che il Servizio sanitario dovrebbe erogare per curare i cittadini, ma che lo Stato non vuole pagare. Le imprese dei dispositivi medici non possono risanare i debiti delle Regioni e gli sforamenti di spesa, anche dovuti al Covid. È inaccettabile che il Governo non capisca l’impatto di un tale sistema sull’industria della salute e non comprenda le dinamiche e le conseguenze di questo provvedimento. Siamo un comparto strategico per il Paese che ha la responsabilità legale di produrre e fornire salute attraverso le gare pubbliche di acquisto e che rischia di fermarsi e chiudere”.
I ricorsi delle aziende riguardano in particolare l’articolo 18 del Decreto Legge Aiuti bis e il decreto del Ministero della Salute che detta linee guida di attuazione del payback. Il provvedimento presenta una serie di elementi che lo rendono inapplicabile, incostituzionale e ingiusto.
“Con i ricorsi in questione – ha continuato Boggetti - viene contestata l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per l’incostituzionalità della normativa primaria di legge, la non conformità con il diritto eurounitario e la violazione di norme di legge preesistenti. All’atto pratico, le imprese che forniscono in virtù di una gara vinta, non hanno alcuna evidenza se il tetto regionale verrà sforato, né sono in grado di ipotizzare se e quanto saranno chiamate a restituire. Questa incertezza, aldilà dell’evidente ingiustizia del meccanismo, è quanto di più pericoloso possa esistere per un’impresa. Tale sistema inoltre non è compatibile con i principi contabili costituzionali che prevedono che i bilanci dello Stato siano prudenti, veritieri, realistici e fondati sull’attendibilità delle previsioni passate. Infatti, definendo i tetti di spesa regionali in maniera retroattiva non si tiene conto della mancata, ma necessaria, conoscenza da parte delle imprese di quale sia più o meno il budget di spesa a loro disposizione. Senza considerare che su quei bilanci le imprese hanno pagato le tasse, che non verranno mai restituite”.
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