Al malato oncologico può giovare un nuovo modello di presa in carico misto, territorio-ospedale: nazionale, da declinare secondo le realtà regionali. Lo si chiede nel documento OncoCare 2.0
Guariti, malati in follow-up, cronicizzati, acuti in terapia orale od infusionale: sono almeno quattro le tipologie di paziente oncologico che oggi possono essere seguite sul territorio. Nella gestione di questi pazienti, l’impatto della pandemia di coronavirus ha cambiato il mondo. Se prima il riferimento era l’ospedale, oggi è spesso la casa della salute, o anche la casa dell’utente. Il virus ha reso meno accessibili i reparti specialistici e ha avvicinato a casa soluzioni di telemedicina, telemonitoraggi, tele-diagnosi a domicilio. Al malato oncologico può giovare un nuovo modello di presa in carico misto, territorio-ospedale: nazionale, da declinare secondo le realtà regionali. Lo si chiede nel documento OncoCare 2.0 dedicato all’oncologia di prossimità, “una rete tra diversi setting assistenziali”, documento edito da Edra in collaborazione con Sandoz. Il precedente, OncoCare 1.0, giungeva alla conclusione secondo cui sul territorio è possibile “l’intercettazione precoce e completa dei disturbi e dei bisogni insoddisfatti dei malati oncologici”, evitando “l’aggravamento delle condizioni e l’innalzamento dei costi sanitari e sociali dei pazienti”. Ma nei due anni di pandemia sono cambiati alcuni scenari. E’ aumentato il numero dei tumori identificati in stadio avanzato, è diminuito il numero di quelli identificati precocemente, è calato di un 12-13% il numero di interventi al seno ed al colon. L’ospedale come riferimento del paziente si è allontanato e sono aumentati gli approcci sul territorio. E se d’altronde un ospedale più “lontano” non favorisce diagnosi tempestive, cure idonee, esiti clinici positivi, qualità della vita, la medicina territoriale può sopperire offrendo un approccio di rete integrato con l’équipe ospedaliera. E’ possibile cioè passare da un modello “patient centered” ospedaliero ad uno “community centered” più territoriale, multidisciplinare, dove “prossimità” è la parola d’ordine.
Oncocare 2.0 passa al vaglio tre sperimentazioni: il Dipartimento Oncologico lanciato a Brescia e in Val Camonica centrato sui temi di prevenzione; l’Oncologia territoriale in Toscana che si sviluppa su indicatori elaborati dall’azienda ospedaliera Sant’Anna di Pisa; l’Ausl di Piacenza che decentra l’apporto degli oncologi in strutture “spoke” di centri appenninici, avvicinando le terapie a casa dei pazienti e dando un ruolo chiave sia ai medici internisti degli ospedali periferici sia ai medici di medicina generale. Secondo le conclusioni del board composto da Gianni Amunni (Ispro), Giordano Beretta (Aiom), Ovidio Brignoli (Simg), Maria Capalbo (Anci), Luigi Cavanna (Cipomo), Luigi D’Ambrosio Lettieri (Fofi), Francesco De Lorenzo (Aimac), Paolo Gritti (Sipo), Emanuela Omodeo Salè (Ieo, Sifo) e Gianni Petrosillo (Federfarma), ora è il momento di ricollocare personale sanitario e servizi in relazione ai bisogni dei pazienti. Almeno quattro servizi potrebbero essere erogabili fuori ospedale: riabilitazione, supporto nutrizionale, psico-oncologia e recupero di chi non si presenta agli screening. Anche alcuni trattamenti potrebbero essere meglio erogati vicino casa del paziente. E il farmacista territoriale, oltre a distribuire terapie per conto, potrebbe interfacciarsi con il collega ospedaliero. E potrebbe offrire servizi di orientamento alle cure, previo training, trasformandosi in Farmacia Oncologica Territoriale. Il percorso non può prescindere dall’individuazione di nuove figure e dalla valorizzazione di personale già esistente, secondo linee guida regionali che dicono “chi fa cosa”. Le regioni a loro volta normerebbero i modelli nel rispetto di standard nazionali che, accanto alla “farmacia di comunità” potenziata, prevedono un medico di famiglia “clinical manager” della malattia ed un infermiere dedicato al caso “case manager” con compiti di orientamento del paziente tra ospedale e territorio e nel follow-up. Gli input di questo fascicolo sono diretti a Ministero della Salute, Agenas e Regioni.
Le nuove “Linee guida organizzative e raccomandazioni per la Rete Oncologica che integra l’attività ospedaliera per acuti e post acuti con l’attività territoriale” (Conferenza Stato-Regioni del 17 aprile 2019) hanno previsto un Coordinamento strategico al Ministero ed un Osservatorio per il Monitoraggio delle Reti Oncologiche Regionali (ROR) in Agenas preposto a valutare l’evoluzione dei modelli regionali ed a rappresentare un livello permanente di monitoraggio per la crescita delle Reti Oncologiche. A Ministero ed Agenas il board indirizza un’ulteriore indicazione: nel gestire il paziente oncologico non si può prescindere dal Fascicolo Sanitario elettronico, luogo dove – oltre a condividere le informazioni sui pazienti – si programmano gli interventi. Nel FSE, poi, riveste importanza enorme il dossier farmaceutico dove non solo il farmacista che lo implementa ma anche le altre figure che ruotano intorno al paziente monitorano come e con cosa quest’ultimo si cura e come impatta la terapia oncologica. E’ quanto mai necessario un modello di fascicolo nazionale da adottare in tutte le regioni per la gestione 2.0. Accanto a ruoli e figure dedicati, all’empowerment di malato e caregiver e al ritorno di screening e prevenzione primaria, per il nuovo modello servono quindi un’infrastruttura telematica – software ed hardware – e la volontà di condividere competenze ed informazioni.
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