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07 Marzo 2025Una visione innovativa e inclusiva per il futuro del sistema sanitario italiano che rifletta la sensibilità e la prospettiva femminile. A Roma la community Donne Protagoniste in Sanità ha elaborato un Manifesto con l’intenzione di colmare le differenze di trattamento e accesso alle cure che non si limitano al genere
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Una visione innovativa e inclusiva per il futuro del sistema sanitario italiano che rifletta la sensibilità e la prospettiva femminile è contenuta nel Manifesto, elaborato dalla community Donne Protagoniste in Sanità e presentato oggi nella sala Nassirya del Senato. Il documento è nato dai temi affrontati durante la IX edizione del Forum del Sistema Salute alla Leopolda di Firenze, lo scorso febbraio, come l’equilibrio tra tecnologia ed essere umano, la sanità digitale come bene comune, la sostenibilità e l’innovazione responsabile, fino all’empowerment femminile e alla leadership etica.
Approccio olistico
Già a partire dal titolo, “La chiameremo Umanità – La visione delle donne per la Salute bene comune”, si intuisce la volontà da parte dei promotori di riconoscere la dimensione dell’intervento che non si discosti dallo sguardo della persona. Un aspetto significativo è l’approccio olistico alla cura che supera il piano clinico per abbracciare elementi emotivi, sociali, ambientali e spirituali della salute. Fra i punti del Manifesto, c’è spazio per la multidisciplinarietà da considerare per la formazione dei professionisti del futuro, capaci di connettere competenze provenienti da campi diversi, tra cui la sociologia, l’ingegneria e l’economia.
Un contributo fondamentale
La visione delle donne può dare un contributo importante alla salute: “di documenti sulla salute quale bene comune ne circolano diversi. Le donne contribuiscono, ma credo siano silenziate”, afferma Monica Calamai, commissaria straordinaria dell’Asp di Crotone e coordinatrice della community Donne protagoniste in sanità. “Un elemento fondamentale – prosegue – è lavorare per colmare il gap significativo. La community vuole essere un luogo per far parlare le donne e non lasciarle tacere. Le donne ci sono e stanno lavorando; hanno un senso di comunità. Inoltre, hanno una intelligenza che è poco usata. Non riescono a dare il contributo che potrebbero, nonostante siano molto più istruite e mantengano un continuo aggiornamento rispetto agli uomini”.
L’analisi compiuta dalla community della sanità italiana mostra un divario fra uomini e donne nelle prospettive di vita che aumenta al Nord o nell’accesso alle cure. “Dal 2008 – ricorda Calamai – è assente un Piano sanitario nazionale, un programma di ampio respiro che rappresenti l’accompagnamento dei singoli piani regionali”. Riguardo alle diseguaglianze nel territorio, aggiunge: “il Paese è a tre velocità. È quasi doloroso vedere certe cose”.
Il nodo delle risorse economiche
“La politica deve decidere i diritti che vuole garantire e poi stabilire le risorse”, dichiara Marina Sereni, responsabile nazionale della salute e sanità del Partito democratico. “Sento invece – continua – avanzare un ragionamento che inverte l’ordine. Se per noi la salute è un diritto fondamentale, prima dobbiamo decidere quali sono i diritti e sulla base di questi programmare le risorse”. Secondo Sereni, già viceministro degli Esteri, va fatto un discorso trasparente: “penso sia più serio dire ai cittadini che le tasse servono a pagare i servizi perché siamo arrivati a un livello di pericolosità. Quando il personale fugge dalle strutture sanitarie, bisogna trovare la soluzione per rendere attrattivo il sistema, ma servono più soldi”. “La politica deve avere il coraggio di dire la verità. Deve avere il senso di responsabilità di far capire che c’è un modo migliore di erogare le cure”.
Rivoluzionare l’assistenza
Di una indispensabile rivoluzione a livello territoriale, parla Tiziana Frittelli, commissaria straordinaria del Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria. “Se non rivediamo l’attuale assetto dell’assistenza – evidenzia – il Dm 77 non arriverà da nessuna parte”. Secondo Frittelli, il decreto con cui si riorganizza il territorio rappresenta “un punto di avanzamento, ma ancora non si riesce a discutere il rapporto con il Dm70, che ha configurato la rete ospedaliera. Abbiamo purtroppo dei vincoli di contesto drammatici: l’aumento della spesa pensionistica, gravata dalla denatalità, la parcellizzazione della spesa sociale e sanitaria”.
Cambiamento culturale
Sulla rivoluzione culturale interviene Laura Patrucco, presidente della Associazione scientifica per la sanità digitale, “per dare nuovo valore e significato al digitale pensato per le persone. Spesso si tende a considerare la tecnologia come un mondo asettico e si considera meno l’utilizzatore finale. La rivoluzione culturale deve dare una nuova consapevolezza”. In questa fase di cambiamento, per Patrucco svolge un ruolo importante l’advocacy “che deve riferirsi alla sanità digitale per mettere al centro l’umanità di cui oggi vogliamo essere portatori di interesse”. E a proposito di cultura universitaria, “dovremmo – suggerisce – essere noi donne a convincerci del nostro valore. Mi auguro che il Manifesto sia la chiave di volta per creare una community, inclusiva del mondo maschile che ha bisogno di essere acculturato”.
Umanizzazione delle cure
“Il rapporto fra medici e pazienti va curato dal punto di vista della comunicazione e del trasferimento delle conoscenze”, conclude Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanza Attiva. “Gli operatori – afferma – hanno bisogno di cogliere i punti di osservazione dei cittadini. C’è un divario di potere che va colmato, ma va ribadito che della malattia vada eliminata la sofferenza dei processi e della mancata innovazione. L’umanizzazione – spiega – è ridurre la sofferenza umana che non è una stretta di mano. L’umanizzazione – ribadisce – passa attraverso la riduzione di una sofferenza evitabile”.
Elisabetta Gramolini
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