sanità
19 Maggio 2023 Case ed ospedali di comunità finanziati dai fondi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono distribuiti in modo omogeneo? Saranno efficaci per la popolazione? Si realizzeranno tutti? A porsi le tre domande sono la Fondazione Openpolis, che monitora la realizzazione del PNRR, e Cittadinanzattiva
Case ed ospedali di comunità finanziati dai fondi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono distribuiti in modo omogeneo? Saranno efficaci per la popolazione? Si realizzeranno tutti? A porsi le tre domande sono la Fondazione Openpolis, che monitora la realizzazione del PNRR, e Cittadinanzattiva, associazione di cittadini e pazienti, oggi alleati per monitorare l’andamento della realizzazione della Missione 6-Salute del PNRR, quella finanziata con 15,63 miliardi di euro di cui 7,6 per la riforma dell’assistenza territoriale e 8,63 per la digitalizzazione degli ospedali. Il Rapporto appena uscito indica come interverrà il Piano sulla sanità territoriale, che interessa i primi 7 miliardi, dei quali 2 destinati a costruire 1430 case di comunità, uno a creare 400 ospedali di comunità, 280 milioni alle centrali operative territoriali e circa 4 miliardi alla diffusione della telemedicina ed all'assistenza domiciliare. Ma il Report introduce altri elementi di riflessione. Non parla dei ritardi attuativi, già evidenziati dalla Corte dei Conti. Ma si interroga, ad esempio, sul bisogno di prevenzione della popolazione italiana che oggi è over 65 al 23% ma nel 2050 lo sarà al 35%, cioè per più di un terzo, creando una pressione insostenibile sulle strutture sanitarie. Le CdC servono per la diagnostica “vicino casa” ed anche qualche servizio di emergenza o burocratico; gli OdC per i malati dimessi da ospedali per acuti ed altre strutture; ma chi, e come, si occuperà di anticipare l’insorgenza od il peggioramento di malattie per 19 milioni di anziani? Ma c’è un secondo aspetto ancora più inquietante: in certe regioni ci saranno più aree sguarnite che in altre.
Delle case di comunità, il Rapporto sottolinea che il 66% (943) saranno “hub” e cioè dotate di centro prelievi, presenza della continuità assistenziale, specialistica ambulatoriale e servizi diagnostici, équipe per la presa in carico delle cronicità che compileranno i Piani assistenziali individuali per i pazienti, e probabilmente consultori, servizi d’igiene, centri screening; solo il terzo restante, 487, saranno “spoke”, case più piccole, con medici di famiglia e pediatri. In particolare, saranno “spoke” quasi 8 CdC su 10 in Calabria il che fa sorgere qualche timore per l’effettiva presenza di servizi specialistici nel Crotonese, nel Catanzarese-Lametino e nella Locride, Nelle aree interne saranno “spoke” oltre 5 CdC su 10, mentre in Lombardia, Veneto e Piemonte saranno tutte case “hub” e pure in Umbria, regione dove peraltro le 17 “case” sono alquanto distanti tra loro. Dei 400 ospedali di comunità da costruire, che devono assicurare 20 letti ogni 100 mila abitanti, tre quarti saranno riconversioni di ospedali già esistenti e il 22% nuove costruzioni; sarà nuovo oltre il 50% degli OdC in Trentino-Alto Adige, Friuli VG e Marche. Avremo 1,18 OdC (pari a 23 letti) ogni 100 mila abitanti nelle aree interne e 2 in Veneto (40 letti/100 mila abitanti). Guardando le sole cartine geografiche con le disseminazioni di “case” ed “OdC”, si osserva come a fronte di regioni molto ben coperte – in primis Veneto ed Emilia-Romagna – ed altre che hanno assicurato una copertura puntuale con le CdC “hub” (Piemonte, Lombardia, la stessa Liguria), ce ne sono altre con aree relativamente desertificate. Non solo la Calabria ma anche la Basilicata e la collegata Irpinia orientale, il Molise (pochi ospedali di comunità a fronte di un 39% di anziani nel 2050), alcune valli delle Marche, la Toscana centro-meridionale. Al Sud, il modello CdC-Odc sembra più capillare in regioni popolose ovvero con grossi centri ben distribuiti su un territorio agricolo (Puglia, Sicilia). Nell’analisi di Openpolis e Cittadinanzattiva si paventano diversi motivi che lasciano intravedere forti difficoltà nella realizzazione di una missione 6 del PNRR in grado di colmare i divari tra regioni ricche e povere nell’accesso alle cure. I redattori del Report ricordano come il decreto ministeriale 77 sugli standard della medicina territoriale sia stato approvato senza il sì unanime delle regioni e che la Campania con il suo “no” abbia legittimamente fatto capire come non si fosse risposto alla sua richiesta di chiarire con quali finanziamenti sarà coperta la riforma dal 2027 in poi. È più facile che si avvantaggino della riforma le regioni – Emilia-Romagna, Toscana – che già si erano portate avanti realizzando con fondi propri le “case della salute”, antesignane delle “case di comunità”.
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