sanità
19 Ottobre 2022 Una cabina di regia nazionale, un centro incubatore per la ricerca, provvedimenti di semplificazione normativa, investimenti per favorire il trasferimento tecnologico: sono questi gli ingredienti minimi affinché l’Italia possa sviluppare la sua vocazione di protagonista nella produzione di principi attivi biotecnologici
Una cabina di regia nazionale, un centro incubatore per la ricerca – il polo in via di potenziamento a Siena–, provvedimenti di semplificazione normativa, investimenti per favorire il trasferimento tecnologico: sono gli ingredienti minimi affinché l’Italia possa sviluppare la sua vocazione di protagonista nella produzione di principi attivi biotecnologici, dai farmaci innovativi, ai sistemi di editing genetico, a quelli di diagnosi predittiva. Ma c’è anche altro da fare per il nuovo governo. Le biotecnologie rappresentano il 5% del totale degli investimenti dell’industria italiana. In otto casi su dieci si tratta di piccole e medie imprese: il 48% lavora sui servizi per la salute e genera circa il 75% del giro d’affari del comparto biotech. L’Italia ha la massima resa al mondo per euro speso in ricerca, è ai vertici per pubblicazioni, quarta dopo Usa, Cina, Regno Unito. Ma non può mantenere a lungo i primati, con i bassi investimenti in ricerca fin qui sostenuti dallo stato (1,4% del Prodotto lordo). Serve una volontà politica che per prima cosa vari una cabina di regia – presso la presidenza del consiglio più che il ministero della Salute – capace di coinvolgere industria, istituzioni, atenei, pazienti in una strategia produttiva a lungo termine. Altems, Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma guidata da Americo Cicchetti, ha messo a confronto in un evento il settore con esponenti politici ed istituzionali. Dall’industria emergono varie criticità.
I politici - «L’obiettivo dell’Italia è diventare un centro di attrazione di competenze e tecnologie a livello europeo», dice la senatrice Beatrice Lorenzin (Pd) «Per restare competitivi non possiamo essere solo un mercato, dobbiamo produrre. Per avere una produzione all’avanguardia bisogna che ogni settore conosca l’intero comparto. La prima leva da azionare è la riforma degli Istituti scientifici-Irccs di cui si aspettano i decreti attuativi, e nel suo contesto quella del personale della ricerca. Questa non è materia regionale ma dello Stato che deve investire su piattaforme aggregatrici dei player». La senatrice Elisa Pirro (M5S) trova prioritario per il governo investire sulla ricerca di base e favorire joint venture pubblico-privato. La senatrice Anna Maria Parente (Italia Viva) allarga la visuale a livello continentale; la ricerca è un tasto dolente in tutta Europa. All’inizio del Covid nessun paese Ue riusciva a dotarsi di mascherine perché non ne produceva Per giungere in breve alla produzione di farmaci innovativi e vaccini l’Unione Europea ha approvato un Progetto di Interesse Comune Europeo (IPCEI) sulla salute, capo cordata la Francia, cui l’Italia si è aggregata: stati membri mettono in comune risorse per un grande investimento capace di favorire il trasferimento tecnologico in questo settore di frontiera.
I ricercatori - Proprio il passaggio di conoscenze dalla ricerca di base a quella applicata resta un tasto dolente per Giorgio Palù Dg dell’Agenzia del Farmaco AIFA, che ha guidato un comitato ministeriale sulle biotecnologie e vorrebbe affidata la funzione chiave ad un Centro nazionale per le biotecnologie, oggi mercato non attrattivo per i protagonisti della crescita economica, se si eccettua qualche grossa banca. Marcello Cattani presidente Farmindustria, ricordando come ogni euro speso in ricerca ne generi tre di ritorno per il sistema paese, pone l’accento sulla semplificazione, altro target complicato: la conferenza governo-regioni sta faticando a mettere d’accordo 21 autonomie sulla riduzione dei comitati etici preposti a dare il via ai trial clinici. Il nuovo governo dovrebbe puntare molto pure su un’informazione corretta al cittadino-paziente. La crescita dev’essere anche dello stato terzo pagante: non sempre, come spiega Annarita Egidi (Assobiotec), quando il frutto della ricerca si trasforma in farmaco da pagare la parte pubblica la valorizza prontamente. C’è poi la normativa obsoleta da correggere. Il segretario generale del ministero della Salute Giovanni Leonardi presenta due situazioni che svantaggiano gli Irccs pubblici nel fare ricerca. «L’interazione con l’industria richiede di indire una gara ad evidenza pubblica e il solo fatto che un filone sia posto a conoscenza di tutti genera l’impressione che l’idea su cui si vuol fare ricerca sia “bruciata”. Se poi i vertici Irccs decidessero di creasse uno spin-off, allorché un ricercatore dell’istituto fosse chiamato a ricoprire ruoli nella nuova azienda, scatterebbero le manette. Stiamo cercando di modificare le cose nei decreti attuativi della legge di riforma degli Irccs». Altra criticità la espone la voce dell’Irccs, Renato Mantegazza Direttore R&D del Besta: «I ricercatori sanitari, figure create 3 anni fa, sono inquadrati come personale del comparto. Beninteso questo personale fa funzionare gli ospedali, ma nel caso dei ricercatori la valorizzazione non appare adeguata» (rispetto ad esempio a colleghi dirigenti medici o biologi iscritti all’ordine come loro ndr).
L’industria - Investire in fondi di equity stimolando nuova imprenditoria, offrire grant nei limiti vigenti in UE, offrire prestiti in relazione al risultato, investire in infrastrutture per accelerare la comunicazione tra protagonisti del settore sono tra le misure a breve suggerite da Marco Baccanti Dg Enea Tech Biomedical. Spendere in formazione (Cattani) e divulgare gli insuccessi (Eva Pesaro, Uniamo) sono altri due suggerimenti di valore. Importanti nel simposio le esperienze testimoniate da Silvia Chiroli di Argenx, player industriale nato nel 2008 e sviluppatosi rapidamente anche oltre il continente europeo, e di Leonardo Giagnoni per Italian Angels for Growth, che ha parlato dei “business angels”, figure vicine al mondo dell’impresa che portano risorse per lo più private su progetti promettenti di ricerca in fase iniziale affinché giungano all’evidenza delle case farmaceutiche. Carlo Ferro (Istituto del commercio estero-ICE) ricorda infine come l’export sommato del “settore farmaceutico e di quello delle biotecnologie cubi 47 miliardi a valore nel 20/21, pari al 9% dell’export italiano e quasi pari alla resa del settore agroalimentare.
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