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16 Luglio 2024

Screening e prevenzione, la sostenibilità del sistema salute secondo medici e ricercatori

Sostenibilità è fare in modo che la generazione del presente operi senza compromettere le aspirazioni delle generazioni del futuro. Il concetto presente nel contributo dei medici internisti Francesco Dentali, presidente Fadoi, e Dario Manfellotto (Fondazione Fadoi) al volume “2030. La sostenibilità della salute”


Screening e prevenzione, la sostenibilità del sistema salute secondo medici e ricercatori

Sostenibilità è fare in modo che la generazione del presente operi senza compromettere le aspirazioni delle generazioni del futuro. Il concetto presente nel contributo dei medici internisti Francesco Dentali, presidente Fadoi, e Dario Manfellotto (Fondazione Fadoi) al volume “2030. La sostenibilità della salute”, realizzato da Fondazione Roche con Edra, si attaglia sia ai farmaci e ai loro processi di fabbricazione sia alle attività del servizio sanitario: cura, riabilitazione e soprattutto prevenzione. In quest’ultimo caso serve un cambio di mentalità condiviso, come spiega Roberta Siliquini presidente Società Italiana di Igiene, Medicina preventiva e Sanità pubblica (SItI), autrice di un articolo sul contributo di prevenzione e diagnosi precoce. Generazione su generazione, le società sono chiamate ad evitare di ammalarsi individuando prima possibile le malattie con gli screening, applicando la prevenzione, riducendo i fattori di rischio noti, vaccinandosi contro le infezioni. «Ma per ottenere risultati servono investimenti e, prima ancora, volontà politica e voglia delle società di capire il valore dei programmi di prevenzione», spiega Siliquini, già presidente del Consiglio superiore di sanità. «In Italia fin qui la prevenzione è stata sottofinanziata, serve un commitment politico per aumentare la spesa per questo capitolo in percentuale sulla spesa sanitaria, ben sapendo che i risultati non sono subito tangibili. I cittadini tendono a premiare chi costruisce loro un ospedale mentre nessuno si accorge di un investimento “educativo”: se funziona non succede niente, nemmeno le gravi malattie evitate». Risultato di questo paradosso: «I decreti ministeriali che hanno riorganizzato gli ospedali nel 2015 (DM 70) e il territorio nel 2022 (DM 77) non hanno dato spazio ai Dipartimenti di prevenzione delle Asl nei modelli organizzativi. Con il ministero della Salute stiamo lavorando ad un testo che individui risorse finanziarie per far sì che i Dipartimenti eroghino prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza». Altri protagonisti dell’assistenza territoriale, come il medico di famiglia, il pediatra, lo specialista possono contribuire ad una cultura della prevenzione a partire dalle scuole elementari. «Se la popolazione è formata è più facile farle capire il valore della prevenzione e degli screening oncologici». In prospettiva, sostenibilità potrà essere garantita dall’avvio a screening precoce di soggetti geneticamente suscettibili rispetto ad alcune patologie, tuttavia Siliquini è scettica sulle piattaforme che utilizzeranno quei dati, «al momento da una regione a un’altra i dati non si leggono e la nostra legislazione sulla privacy è un problema, ad esempio vieta di usare i dati degli esenti per patologia per chiamarli a screening specifici».



L’uso dei big data per la prevenzione di malattie genetiche è al centro del contributo di Bruno Dallapiccola Direttore Scientifico emerito Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, In Italia ci sono un milione di malati rari ma potrebbero essere molti di più. Sono “distribuiti” su 10-15 mila patologie, ciascuna conta poche decine di casi. Fino a poco tempo fa curarli era impossibile, oggi c’è una rete che fa capo all’Istituto superiore di sanità e a Centri regionali che a loro volta sono collegati ad European Reference Networks per patologia, e ci sono 11 mila progetti a livello comunitario dove sono coinvolti numerosi ricercatori italiani. «Nelle diagnosi pesa il ritardom in media 4 anni, con cui la malattia è diagnosticata e trattata. Oltre un terzo delle diagnosi iniziali è sbagliato», dice Dallapiccola. «Sono fondamentali terapie di precisione basate sulla conoscenza dell’esatto difetto. L’80% di queste malattie ha una base genetica, le strategie di sequenziamento dell’esoma sono risolutive per la diagnosi in due terzi dei casi. Il Servizio sanitario nazionale renderebbe trattabile un numero molto alto di malati se solo inserisse nei LEA il pannello dei test che ha un costo di 500 euro a paziente. Specialmente in pediatria, l’Italia ha una rete di laboratori in grado di procedere alla diagnosi e di specialisti per trattare: al Bambin Gesù il binomio genetista-specialista, interrogando il genoma, ottiene successi diagnostici fino ad un 65% di casi in patologie che anche a livello internazionale registrano successi medi nel 30% dei casi. In prospettiva i pazienti oncologici rari potrebbero più facilmente di altri beneficiare del contributo della genomica nei prossimi anni. Senza trascurare possibili scoperte nel campo di diabete e salute mentale».



TAG: FONDAZIONE ROCHE

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