Europa
25 Agosto 2025Durante l'apertura del Meeting di Rimini Mario Draghi ha sollecitato l'Unione europea a una maggiore integrazione, politica ed economica, di fronte alle sfide globali
«La prima direttrice riguarda il mercato interno. L’Atto del Mercato Unico fu approvato quasi quarant’anni fa, tuttavia persistono ancora ostacoli significativi agli scambi all’interno dell’Europa. La rimozione di tali barriere avrebbe un impatto notevole sulla crescita europea. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, se le barriere interne venissero ridotte al livello di quelle esistenti negli Stati Uniti, la produttività del lavoro nell’Unione Europea potrebbe aumentare di circa il 7% in sette anni. È bene considerare che la crescita complessiva della produttività europea negli ultimi sette anni si attesta a solo il 2%. Questo costo delle barriere è già tangibile. Gli Stati europei stanno pianificando una spesa militare complessiva di 2 trilioni di euro - con circa un quarto destinato alla Germania — da qui al 2031. Eppure, internamente si mantengono ostacoli equivalenti a una tariffa del 64% sui macchinari e del 95% sui metalli. Le conseguenze sono evidenti: gare d’appalto lente, costi maggiori e un aumento degli acquisti da fornitori extra UE, senza generare stimoli all’economia interna. Tutto ciò si verifica a causa degli ostacoli che l’Europa impone a se stessa».
Mario Draghi apre il tradizionale Meeting dell'amicizia tra i popoli di Rimini con un discorso a tutto tondo sulle sorti attuali e future dell'Unione europea. Il brano sopra riportato è forse il più interessante in materia di politica economica: in mesi nei quali non si fa che parlare di dazi Usa non va dimenticato che il mercato interno Ue è tuttora gravato da barriere che frenano la crescita , in termini di produttività, dell'Unione
«Per anni l’Unione Europea ha creduto che la sua vasta dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, fosse sufficiente a garantirle un ruolo di rilievo geopolitico nelle relazioni commerciali internazionali. Tuttavia, il 2024 sarà ricordato come l’anno in cui questa convinzione si è dissolta. Abbiamo dovuto accettare l’imposizione di dazi da parte del nostro più grande partner commerciale e storico alleato, gli Stati Uniti. Inoltre, è stato lo stesso alleato a spingerci ad aumentare la spesa militare, una decisione che forse sarebbe stata opportuna, comunque, ma che è stata adottata in modalità che probabilmente non riflettono appieno gli interessi strategici europei».
L'incipit del discorso di Draghi è categorico e testimonia una effettiva perdita di rilevanza dell'Unione sullo scacchiere geopolitico mondiale, in particolare di fronte ai colossi americano e cinese.
Su temi di politica internazionale di particolare impatto le considerazioni sui «principi fondanti dell’Unione Europea: democrazia, pace, libertà, indipendenza, sovranità, prosperità ed equità. Anche coloro che sostengono che l’Ucraina dovrebbe accettare le richieste di Mosca non tollererebbero mai un destino simile per i propri paesi; essi, infatti, attribuiscono lo stesso valore alla libertà, all’indipendenza e alla pace, anche se esclusivamente per sé stessi. Credo che lo scetticismo attuale riguardi soprattutto la capacità dell’Unione Europea di difendere questi valori».
Delineando, per sommi capi, l'evoluzione economica della Ue l'ex presidente del Consiglio ricorda che «l’Unione si è ulteriormente trasformata, adattandosi gradualmente all’era neoliberale tra il 1980 e i primi anni 2000. Questo periodo si caratterizzava per la fiducia nel libero scambio, nell’apertura dei mercati e nella condivisione del rispetto delle regole multilaterali, con una consapevole riduzione del potere degli stati nazionali a favore di enti sovranazionali indipendenti. L’Europa prosperò in quel contesto: il mercato comune divenne un mercato unico, l’Unione Europea assunse un ruolo centrale nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e furono create autorità indipendenti per la regolamentazione della concorrenza e della politica monetaria. Tuttavia, quel paradigma è mutato radicalmente e molte delle sue caratteristiche sono ormai superate».
Negli anni il quadro globale è mutato e oggi «al posto di affidarsi esclusivamente ai mercati per guidare l’economia, si adottano politiche industriali più articolate. Al posto del rispetto esclusivo delle regole, si osserva un ricorso crescente alla forza militare e alla potenza economica per tutelare gli interessi nazionali. Al contrario di un tempo, quando lo Stato vedeva ridursi i propri poteri, oggi tutti gli strumenti vengono utilizzati per rafforzare il governo statale. L’Europa è quindi mal preparata ad affrontare un mondo in cui la geo-economia, la sicurezza e la stabilità delle fonti di approvvigionamento hanno un peso superiore rispetto alla pura efficienza nelle relazioni commerciali internazionali. La nostra struttura politica deve adeguarsi ai mutamenti epocali, soprattutto quando essi riguardano la sopravvivenza: noi europei dobbiamo arrivare a un’intesa su cosa comporti tutto questo».
In caso contrario i rischi sono molto alti: «È evidente che smantellare l’integrazione europea per tornare alla sovranità nazionale comporterebbe un rischio ancora maggiore di essere dominati dal volere delle grandi potenze mondiali».
A proposito di competizione sui mercati globali prende a esempio il settore cruciale dei semiconduttori: «I chip prodotti sono essenziali per la trasformazione digitale in corso ma gli impianti necessari richiedono investimenti ingenti. Negli Stati Uniti, gli investimenti pubblici e privati sono concentrati in pochi grandi stabilimenti, con progetti da 30 a 65 miliardi di dollari. In Europa, invece, la maggior parte degli investimenti avviene a livello nazionale, principalmente attraverso aiuti di Stato. I progetti locali sono molto più piccoli, tipicamente tra 2 e 3 miliardi di euro, frammentati tra diversi Paesi con priorità spesso divergenti».
Per ridurre il gap tecnologico «l’Unione Europea dovrà orientarsi verso nuove forme di integrazione. Abbiamo l’opportunità di realizzarlo, per esempio tramite un ventottesimo regime che operi al di sopra della scala nazionale, con un accordo condiviso su progetti di interesse comune europeo e il loro finanziamento congiunto, condizione essenziale affinché tali progetti raggiungano la dimensione tecnologica e l’autosufficienza economica necessarie».
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