sanità
28 Marzo 2024È stato lanciato l’Ovarian cancer commitment, un’iniziativa europea promossa dalla Società europea di oncologia ginecologica (Esgo), dalla Rete europea dei gruppi di advocacy sul cancro ginecologico e da AstraZeneca
La diagnosi precoce per alcuni tumori è ancora un traguardo lontano. È il caso del cancro ovarico che, in Italia, fino all’80% dei casi viene identificato tardi. Sono, infatti, oltre 4.800 le nuove diagnosi l’anno individuate con la malattia già in fase avanzata. Sugli esami e sui sintomi, anche aspecifici, occorre aumentare l’attenzione e la consapevolezza tra le donne, oltre a velocizzare l’accesso ai test per i biomarcatori predittivi e alle cure innovative contro la neoplasia ginecologica che presenta il più alto tasso di mortalità. Con questo scopo, a Roma, è stato lanciato l’Ovarian cancer commitment, un’iniziativa europea promossa dalla Società europea di oncologia ginecologica (Esgo), dalla Rete europea dei gruppi di advocacy sul cancro ginecologico e da AstraZeneca.
“La patologia provoca ogni anno più di 3.200 decessi – sottolinea Nicoletta Colombo, direttore della Ginecologia oncologica medica dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) e professore associato di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Milano-Bicocca –. Questo è dovuto a una sintomatologia aspecifica e tardiva e dalla totale mancanza di programmi di screening. Nonostante le difficoltà nell’ottenere diagnosi precoci, non sono mancati negli ultimi anni importanti innovazioni terapeutiche. In particolare, l’oncologia di precisione sta portando grandi benefici in termini di sopravvivenza”.
“Il carcinoma ovarico si caratterizza da notevoli deficit genetici che alterano i meccanismi di riparazione dei danni del Dna – spiega Sandro Pignata, direttore della divisione di Oncologia Medica presso il dipartimento di Uro-ginecologia dell’Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione G. Pascale di Napoli –. Esiste da alcuni anni il test Hrd in grado di rilevare quando non funziona il meccanismo della ricombinazione omologa (Homologus recombination deficiency). Si tratta di un “sistema di correzione” che se smette di operare induce il Dna a generare nuovi errori”. Mediante il test è possibile adattare le cure a ogni singola paziente e proporre strategie di sorveglianza o riduzione del rischio. “Rappresenta un’evoluzione del test Brca – continua Pignata – ed è rilevante nella scelta della terapia con i Parp-inibitori, la nuova classe di farmaci in grado di contrastare le neoplasie che presentano un difetto nel processo di ricombinazione omologa”. Il test è complesso e per la sua diffusione in Italia esistono ancora alcuni ostacoli, in particolare di natura economica. “Fare considerazioni solo sul piano dei costi però sarebbe un errore – aggiunge – perché il test previene e fa risparmiare”.
La malattia è molto complessa e deve essere trattata da centri qualificati. “In tempi brevi è necessario adottare i criteri e gli standard di selezione dei centri di riferimento all’interno delle reti oncologiche regionali. Su tutto il territorio nazionale servono linee guida omogenee che rispettino alcuni criteri e standard essenziali, in tutto dieci, che sono stati stabiliti di recente dall’Esgo e prevedono, tra gli altri: la presenza di un chirurgo specializzato, un volume di soglia di almeno 30-20 interventi annui, team multidisciplinari e l’accesso ai trials clinici”, spiega Anna Fagotti, professore ordinario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore dell’Unità presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs e presidente della Società scientifica europea. Ad oggi, esistono cinque centri in Italia accreditati secondo i criteri di qualità, ma “sarebbe auspicabile – conclude la docente – che questi criteri fossero assunti anche da altri”.
La malattia presenta ancora dei bisogni insoddisfatti per la maggioranza delle pazienti e, anche se l’innovazione terapeutica migliora sempre più le prospettive, è necessario prestare più attenzione alla qualità della vita durante e dopo le terapie. “La paziente – testimonia Nicoletta Cerana, presidente dell’Alleanza contro il tumore ovarico Ets (Acto Italia) – si aspetta di essere informata e curata nel modo migliore possibile”. Secondo una ricerca condotta dalla stessa Acto, la scelta dell’ospedale è il primo ostacolo: “solo il 27% delle donne – afferma Cerana – sceglie un centro di riferimento con consapevolezza. Il 40% decide in funzione della vicinanza ma in questo modo la possibilità di non essere curata al meglio è molto alta. Un altro problema è legato all’accesso alla medicina di precisione: la ricerca ci dice che l’87% oggi accede al test Brca e curata con i Parp-inibitori”. Per la presidente Cerana, infine, l’inserimento dei test molecolari predittivi nei Livelli essenziali di assistenza “è imprescindibile”.
Sensibilizzare e informare riguardo al tumore ovarico appare necessario visti i numeri che colpiscono la popolazione femminile. La campagna di comunicazione intitolata “Hai due minuti?”, promossa da Astrazeneca, ha l’obiettivo di diffondere il messaggio della prevenzione. “La nostra azienda – commenta Alessandra Dorigo, Head of Oncology di AstraZeneca Italia – è orgogliosa di supportare un progetto di valore come questo che si propone di informare su una neoplasia che presenta ancora una diagnosi complessa. La campagna ha questo titolo perché in Italia ogni due minuti a una donna sopra i 49 anni, viene diagnosticato un tumore ovarico. Con Ovarian cancer commitment abbiamo inoltre avviato una collaborazione con i vari attori del sistema salute con l’obiettivo di migliorare la diagnosi e il trattamento del tumore. I progressi della ricerca scientifica e della pratica clinica negli ultimi anni hanno prodotto grandi risultati. L’impegno comune – conclude – deve essere quello di rendere più accessibili queste innovazioni affinché non rimangano ad appannaggio di poche pazienti”.
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