Governo e Parlamento
10 Maggio 2024D’ora in poi sarà più semplice utilizzare i dati dei malati per statistiche e progetti di ricerca rivolti a migliorare le cure. La legge 56 di conversione del decreto PNRR, appena approvata, prevede una modifica al codice della privacy
D’ora in poi sarà più semplice utilizzare i dati dei malati per statistiche e progetti di ricerca rivolti a migliorare le cure. La legge 56 di conversione del decreto PNRR, appena approvata, prevede una modifica al codice della privacy. Gli articoli 110 e 110 bis del codice, aggiornati cinque anni fa con l’arrivo del regolamento europeo GDPR, hanno fin qui consentito il trattamento di dati a fini di ricerca o statistici solo previa autorizzazione del Garante, al quale chi fa ricerca deve dimostrare di saper proteggere informazioni anagrafiche e sulla salute. Un procedimento macchinoso che ne evita uno peggiore: ad esempio, dover chiedere il consenso al trattamento dei loro dati, uno per uno, ai pazienti interessati da un trial clinico a livello mondiale, con uno sforzo sproporzionato o così complesso da poter compromettere la stessa ricerca che si vuole avviare. L’emendamento approvato in Senato consente di non raccogliere il consenso quando la ricerca è effettuata secondo le regole di buona condotta definite da codici alle quali si richiama l’articolo 106 del Codice stesso. Tali regole implicano ad esempio l’anonimizzazione dei dati, e il rispetto di regole di buona condotta. A Milano, al meeting dei direttori scientifici di Alleanza contro il cancro, Giusella Finocchiaro docente di Diritto privato ed Internet all'Università di Bologna parla di “alleggerimento significativo” Ma avverte: «Occorre ora sistematizzare le disposizioni, e in particolare verificare se le misure di garanzia siano quelle previste non soltanto dalle regole deontologiche, ma anche dalle prescrizioni già emanate dal Garante nel giugno 2019. Mi pare infatti che le norme in questa materia siano contenute in entrambi i provvedimenti fra loro differenti (regole deontologiche e prescrizioni) e che ci voglia uno sforzo di sistematizzazione». Ruggero De Maria, Presidente di Alleanza contro il Cancro–Rete oncologica nazionale del ministero della Salute – avverte come l’emendamento rinvii ad un provvedimento del Garante, «che potrebbe riportarci indietro, rendendo inutile questa modifica oppure, come speriamo, permetterci di lavorare e di poter utilizzare i dati dei pazienti per migliorare la prevenzione e la cura delle malattie».
L’emendamento semplificativo è stato fortemente voluto dalla comunità scientifica italiana. A febbraio, undici associazioni avevano sottoscritto il decalogo “open privacy” presentato dalla Società Italiana di Leadership e Management in Medicina-SIMM. Aiom, Anmdo, Cipomo, Cittadinanzattiva, Fiaso, Fondazione Periplo, Associazione Periplo, Fondazione Res, Siiam, Sibioc, Sin chiedevano al governo una norma per far coesistere tutela della salute – e ricerche correlate, in particolare quelle su coorti di pazienti trattati nel “mondo reale”, non ospedalieri – e tutela della riservatezza degli stessi pazienti. Tra le richieste: poter arruolare in ricerche “real world” pazienti cronici ed anziani con comorbidità, di facilitare l’uso secondario di dati a fini diversi da quelli della raccolta iniziale, di accettare da parte del Garante Privacy snellimenti delle pratiche relative a queste ricerche se chi le progetta rispetta codici di buona condotta. Oggi i presidenti delle associazioni sostenitrici del decalogo sono soddisfatti. Il Presidente SIMM Mattia Altini però ribadisce: «Se non si superano le barriere al secondary use dei dati sanitari per costruire un flusso informativo continuo dall’ospedale al territorio, non sarà possibile realizzare il potenziamento delle reti di assistenza di prossimità ex decreto 77. Stiamo lavorando per proporre, ai tavoli istituzionali, una soluzione a vantaggio della salute dei cittadini e del Servizio sanitario». Luca Bolognini presidente Istituto Italiano per la Privacy e la valorizzazione dei dati, spiega che, anche in assenza di regole di condotta emanate dal Garante, il dispositivo consente agli enti di ricerca di procedere «nel rispetto del principio di accountability. Resta infatti l’obbligo per i ricercatori di garantire la tutela dei diritti degli interessati a cui si riferiscono i dati. Inoltre, il progetto di ricerca va approvato dal competente Comitato Etico e va svolta e pubblicata la valutazione d’impatto privacy (DPIA)». Pierfranco Conte, Presidente Fondazione Periplo, ricorda come i trial ospedalieri, «pur fondamentali per arrivare all’approvazione di un farmaco, sono insufficienti per fornire evidenze utili nella pratica clinica: non sono in grado di evidenziare tossicità rare o tardive, né di determinare il rapporto rischio/beneficio in pazienti sottorappresentati (anziani, polipatologici etc), né di definire le migliori sequenze terapeutiche. L’abolizione dell’obbligo di autorizzazione preventiva del Garante è fondamentale per consentire gli studi osservazionali, che possono rispondere ai quesiti sopra esposti».
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