Pharma
10 Ottobre 2025Decisioni di colossi come Merck, Eli Lilly, AstraZeneca e Sanofi mettono in crisi la leadership britannica nel settore farmaceutico. Anche l’Europa rischia di diventare spettatrice e non più protagonista di innovazione.

Da diverse fonti emerge che le grandi aziende farmaceutiche stanno progressivamente riducendo la loro presenza nel Regno Unito, sospendendo o cancellando progetti di ricerca e sviluppo per miliardi di sterline. Un cambiamento che segna la fine del ruolo di Londra come centro d’eccellenza nelle scienze della vita e come punto di riferimento per l’innovazione farmaceutica globale.
Alla base di questo arretramento vi è una doppia pressione: da un lato, il conflitto con il National Health Service sulle politiche di prezzo, dall’altro il nuovo scenario commerciale internazionale, dominato dalla minaccia di dazi statunitensi fino al 200% sui farmaci importati. Il governo britannico ha inoltre aumentato la quota dei ricavi delle vendite di medicinali innovativi che le aziende devono restituire al NHS, dal 15,5% al 31,3%, misura che secondo The Association of the British Pharmaceutical Industry, renderebbe il Paese molto meno competitivo rispetto a Germania e Francia.
Le conseguenze sono già tangibili: Merck ha cancellato un centro di ricerca; Eli Lilly ha sospeso l’investimento per un importante sito biotech e la distribuzione del suo farmaco antiobesità a base di tirzepatide, annunciando anche un forte rialzo del prezzo (fino al 170%); AstraZeneca ha bloccato l’espansione di un sito già presente a Cambridge; Sanofi ha dichiarato di non voler procedere con nuovi investimenti senza miglioramenti concreti del contesto operativo. Secondo analisi economiche, le multinazionali stanno ricalibrando la geografia degli investimenti, riducendo la presenza nei mercati considerati meno redditizi e concentrandosi sugli Stati Uniti, dove restano margini più elevati e incentivi fiscali significativi. Il rischio, avvertono gli osservatori, è che la crisi britannica rappresenti solo l’inizio di un effetto domino europeo: anche in altri Paesi si registrano politiche di prezzo rigide, tempi di approvazione lunghi e alta pressione fiscale. Senza una risposta coordinata a livello dell’Unione, l’Europa rischia di diventare un mercato di consumo e non più un polo di innovazione.
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