Intervista
22 Dicembre 2022 Per stimolare l’evoluzione digitale in sanità bisogna fare ancora molto, l’Europa, e l’Italia ancora di più, «si trovano in grande ritardo». È chiara l’idea che Walter Ricciardi
Per stimolare l’evoluzione digitale in sanità bisogna fare ancora molto, l’Europa, e l’Italia ancora di più, «si trovano in grande ritardo». È chiara l’idea che Walter Ricciardi, a capo del Mission Board for Cancer europeo e docente di Igiene all'Università Cattolica, ha espresso a Sanità33 riguardo il futuro dell’Europa sul fronte di una digitalizzazione della sanità. «L’Europa sta marciando verso un progetto che ancora non è ben definito. È chiaro che essendo un insieme di paesi democratici, questa marcia è molto più difficile rispetto, per esempio a Paesi come la Cina che ha la proprietà dei dati di tutta la popolazione e anche dell'India che con la pandemia ha fatto questo trasferimento. Quindi quasi la metà della popolazione mondiale ha i propri dati sanitari di proprietà dei governi. L’ Europa ancora no», sottolinea Ricciardi.
L’Europa, continua, sta cercando «di approvare un regolamento che in qualche modo vada verso una direzione di utilizzazione dei dati che rispetti la privacy ma che nello stesso tempo renda possibile l'utilizzazione di questi dati. Cosa che, in questo momento, non è possibile su vasta scala aggiunge - Non è possibile perché ci sono delle restrizioni troppo forti, nonostante le tecnologie che abbiamo a disposizione». Ricciardi porta l’esempio della Mission board of cancer, «noi abbiamo i finanziamenti per un European cancer patients digital center, cioè un centro dove possono essere depositati, volontariamente e con la proprietà dei dati da parte dei pazienti, di tutti quanti i loro dati, in maniera tale che possano trarre vantaggio da questa condivisione. Ancora però non lo possiamo fare perché di fatto l'Europa ancora non ha normato e regolamentato questi passaggi».
Nell'ambito del ritardo generale, «l’Italia si trova ancora più in ritardo» perché «negli anni passati non ha investito risorse e soprattutto non ha formato persone per questo tipo di approccio. Si trova, quindi, a dover recuperare il tempo perduto». Molti fondi sono nel Pnrr ma «deve essere realizzato e questa realizzazione passa per le risorse finanziarie e soprattutto per le risorse umane che non ci sono», chiarisce Ricciardi. Per l’esperto, quindi, ci vorrebbe «un programma straordinario di formazione e aggiornamento di queste risorse umane che dovrebbero andarsi a occupare di questi problemi». A ciò si aggiunge un altro problema italiano: «l’interoperabilità tecnologica» perché, rispetto ad altri Paesi, «noi siamo frammentati in 21 realtà regionali e provinciali autonome. Addirittura, neanche le stesse regioni hanno l’interoperabilità tra le aziende e le strutture sanitarie». Secondo Ricciardi, «dobbiamo fare una corsa per cercare di recuperare il tempo perduto perché un po' d risorse ci sono ma il problema è che c’è un piano nazionale coordinato su questo aspetto».
«Corriamo il rischio che l'Europa vari una sorta di ferrovia su cui i binari italiani non possano marciare», chiosa l’esperto.
Ludovico Baldessin
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