Farmaci
09 Gennaio 2023 In questo editoriale apparso sull’ultimo numero di Onconews, Silvia Franceschi, Direttore Scientifico del Centro di Riferimento Oncologico IRCCS di Aviano, fa il punto sull' applicazione, ancora piuttosto timida, dei progressi biotecnologici alla prevenzione "di precisione”. In particolare, Franceschi fa riferimento a una delle poche "success story". Ecco le sue considerazioni
In questo editoriale apparso sull’ultimo numero di Onconews, Silvia Franceschi, Direttore Scientifico del Centro di Riferimento Oncologico (CRO) IRCCS di Aviano (PN), fa il punto sull' applicazione, ancora piuttosto timida, dei progressi biotecnologici alla prevenzione "di precisione”. In particolare, Franceschi fa riferimento a una delle poche "success story" che riguarda la prevenzione oncologica primaria. Ecco le sue considerazioni.
“Si dice che la biotecnologia sia diventata la nuova frontiera tecnologica, destinata a cambiare la vita di tutti. Sta attraversando un periodo che assomiglia per dinamismo ed importanza a quando, negli anni Settanta, Bill Gates e Steve Jobs compivano la rivoluzione dei computer eccetto che, oggi, i ricercatori più innovatori si occupano di codici genetici anziché di codici informatici. Questo balzo di conoscenze ha portato, tra le altre cose, alla medicina di precisione e della sua versione più estrema (medicina personalizzata) i cui sviluppi sono stati particolarmente intensi in oncologia. Come notava Mauro Biffoni, nel suo Editoriale del 30 settembre su Onconews, nel 2020-2021 sono stati lanciati a livello mondiale 161 nuovi farmaci oncologici le cui indicazioni sono sempre più legate ad un bersaglio molecolare e non al tessuto di origine o all'istologia del tumore. In tutti i centri oncologici italiani, compreso l'IRCCS dove lavoro (il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano), i ricercatori di laboratorio e gli oncologi clinici lavorano insieme per connettere diagnosi e terapie avanzate, aprendosi anche, per quanto possibile in Italia, al Technology Transfer verso il privato. Questi temi sono stati il perno delle grandi reti nazionali lanciate quest'anno dal Ministero della Salute, nell'ambito dell'iniziativa "Ecosistema innovativo della Salute" connessa al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Questa corsa a nuovi test e nuovi farmaci per curare i tumori incoraggia grandi speranze nonché problemi per la sostenibilità e l'equità dei sistemi sanitari.
Vorrei, però, concentrarmi qui sull' applicazione dei progressi biotecnologici alla prevenzione "di precisione" che è stata molto più timida. In particolare, ricorrerò ad una delle poche "success story" che riguarda la prevenzione oncologica primaria che però non ha ancora dato tutti i suoi frutti.
Un campo privilegiato per la prevenzione di precisione è quello dei tumori causati da infezioni che, globalmente, causano circa il 15% dei tumori (circa 7% in Italia ma più del 30% in diversi Paesi Africani ed Asiatici). Le principali infezioni cancerogene sono il batterio Helicobacter pylori (tumore dello stomaco e alcuni linfomi), il papillomavirus umano (HPV) (tumori della cervice uterina, tratto ano-genitale e orofaringe) e due virus epatici (HBV e HCV) (tumore del fegato e alcuni linfomi). Tra questi, l'HPV (un virus molto diffuso a prevalente trasmissione sessuale) è quello in cui la biologia molecolare ha realizzato i maggiori progressi con l'introduzione di due strumenti straordinari e complementari: un vaccino contro HPV e test per la ricerca di DNA o RNA virale nelle cellule cervico-vaginali. Questi test si sono rivelati più sensibili e riproducibili del test di Papanicolau per lo screening della cervice ed utilizzabili anche su campioni auto-prelevati dalla donna stessa.
La messa a punto del vaccino HPV a partire dagli anni Novanta è stata inaspettatamente rapida per un virus che conteneva oncogeni, scoraggiando perciò l'uso di virus attenuati, e molto difficile da coltivare in vitro. Ricercatori australiani e degli Stati Uniti sono riusciti a clonare il gene principale per la produzione del capside virale (L1) dell'HPV. Imprevedibilmente, la proteina L1 è capace di assemblarsi facilmente in gusci proteici "vuoti" identici a quelli del virus e che evocano, quando iniettati i.m., una risposta immunitaria migliaia di volte più elevata che quella molto debole che consegue all'infezione naturale nelle mucose. Ancora più sorprendentemente, l'efficacia del vaccino HPV si sta rivelando stabile nel tempo, con livelli anticorpali simili due o dodici anni dopo la vaccinazione. Dal 2006, tre vaccini di produzione occidentale, contro due, quattro o nove tipi di HPV (ma tutti includenti i tipi più cancerogeni 16 e 18) sono stati approvati e più di 500 milioni di dosi sono state utilizzate senza eventi avversi di rilievo. Ai tre vaccini iniziali si stanno aggiungendo prodotti simili, ma più economici, di produzione cinese e indiana.
Tutto bene? Non proprio. Per una drastica riduzione del carcinoma della cervice, l'OMS raccomanda che 90% delle adolescenti femmine sia vaccinata con due dosi di vaccino HPV entro l'età di 15 anni (cioè fino a quando il vaccino ha la massima efficacia). Purtroppo, la copertura vaccinale a livello mondiale è arrivata nel 2019 solo al 15% nelle ragazze e al 4% nei ragazzi per poi calare durante la pandemia di Sars-CoV-2. Una speranza di rilancio è arrivata in aprile 2022 dall'OMS che, recependo le raccomandazioni basate sull'analisi di trial e follow-up di popolazione del suo Strategic Advisory Group of Expert, ha dichiarato che "una dose di vaccino HPV conferisce livelli anticorpali e protezione non inferiori e ugualmente stabili di due dosi". L'impatto logistico ed economico di poter usare una dose sola di vaccino HPV potrebbe essere enorme per i programmi vaccinali che sono stati dall'inizio difficili perché rivolti ad adolescenti, invece che a bambini piccoli, e soprattutto attuati a livello scolastico dove molte ragazze abbandonano gli studi dopo la scuola primaria. Oltre ai Paesi poveri, in cui il vaccino è sussidiato da GAVI, la Gran Bretagna e l'Olanda stanno considerando di recepire questa nuova raccomandazione dell'OMS, continuando allo stesso tempo ad accumulare dati di conferma sull'efficacia di una sola dose.
Per quanto riguarda l'Italia, alla fine 2021 il 70% delle ragazze aveva ricevuto il ciclo di due dosi di vaccino HPV entro 15 anni d'età con, però, forti differenze regionali. La copertura era vicina o superiore a 80% in Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Umbria ma inferiore al 50% in Campania, Sicilia e Prov. Autonoma di Bolzano. Si noti però che la copertura nazionale a 12 anni, l'età in cui la vaccinazione incomincia ad essere offerta, era calata nel 2020 a 30%, restando 32% nel 2021. Questi dati illustrano la necessità di rilanciare la vaccinazione HPV e la comprensione delle ragioni per cui questo vaccino, offerto gratuitamente in tutte le regioni dal 2007 alle ragazze e dal 2015 anche ai ragazzi, faccia così fatica a raggiungere una copertura adeguata. Tra le spiegazioni possibili ci sono: 1) la competizione, negli occupatissimi ambulatori vaccinali, con altre priorità, es. i vaccini pediatrici diventati obbligatori nel 2013 e, dal 2020, il vaccino contro Sars-CoV-2; 2) la necessità di rivolgersi contemporaneamente, agli adolescenti, le loro famiglie, i pediatri ed i medici di medicina generale; 3) la tendenza a procrastinare a tempo indefinito una vaccinazione che non sembra urgente a 12 anni ed è offerta fino a 18 anni o anche oltre. In Italia, al contrario che in altri Paesi, fake news sul vaccino e uno stigma legato alla trasmissione sessuale dell'HPV non sono emerse alla luce del sole, ma un influsso di questi fattori non può essere escluso.
Per ritornare all'innovazione biotecnologica, il futuro della cura ma anche della prevenzione dei tumori potrebbe giovarsi, oltre che della conoscenza del DNA, dei recenti progressi nella maneggevolezza dell'RNA. L'RNA messaggero, racchiuso in nanoparticelle lipidiche, ha la potenzialità di indurre le cellule del nostro corpo a produrre i propri anticorpi contro una grande varietà di antigeni di infezioni, lesioni preneoplastiche o tumori. Resta il problema di come aumentare l'appetito delle grandi industrie biotecnologiche, sempre più intrecciate con le grandi istituzioni di ricerca pubblica, ad affrontare il complicatissimo e potenzialmente meno lucrativo percorso di sperimentazione di interventi di prevenzione di massa con vaccini o farmaci. La mobilitazione internazionale per il COVID-19 può fornire preziosi esempi di che cosa di deve fare e che cosa si deve evitare”.
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