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Farmaci

19 Dicembre 2022

Approvazione nuovi farmaci. Gianfrate: servono negoziati

I farmaci approvati ad Amsterdam, da noi finiscono in fascia C, a pagamento, in attesa che il Servizio sanitario nazionale se ne sobbarchi l'utilizzo, e il tempo che passa tra ok europeo ed approvazione da parte dell'Agenzia del farmaco in media supera l'anno


Approvazione nuovi farmaci. Gianfrate: servono negoziati

Da meccanismo per rendere subito disponibili i nuovi farmaci negli stati membri dell'Unione europea, l'autorizzazione centralizzata dell'European Medicine Agency rischia di trasformarsi in un boomerang, almeno per i pazienti italiani. I farmaci approvati ad Amsterdam, da noi finiscono in fascia C, a pagamento, in attesa che il Servizio sanitario nazionale se ne sobbarchi l'utilizzo, e il tempo che passa tra ok europeo ed approvazione da parte dell'Agenzia del farmaco in media supera l'anno. A questo ritardo va aggiunto il "carico" dovuto ai tempi di inserimento nei prontuari terapeutici delle singole regioni, spesso mandate in crisi da annosi problemi di deficit.

In recenti analisi, Fabrizio Gianfrate, professore di Economia sanitaria, ha indicato come per di più il Ministero della Salute non sfrutti i tempi lunghi, l'Agenzia del farmaco negli ultimi anni ha abbandonato i Managed Entry Agreement che consentivano di contrattare con le industrie farmaceutiche condizioni meno svantaggiose di fronte agli alti costi di un farmaco innovativo. Motivo? Prendevano troppo lavoro, per gestirli localmente e non era del tutto chiaro il loro impatto economico, se facessero risparmiare o spendere di più, di sicuro hanno facilitato il raggiungimento dell'accordo sul prezzo e rimborso rendendo disponibili molti nuovi farmaci. «Gli accordi tipo payment by result o di risk sharing che in sostanza premiavano i casi di successo terapeutico sono stati progressivamente abbandonati, dopo essere stati adottati per una decina d'anni con riscontri lusinghieri. Sono complicati da gestire, aumentavano il carico di lavoro soprattutto dei farmacisti ospedalieri e dei medici prescrittori che devono inserire i dati in registri specifici, spendendo non meno di un'ora al giorno, nei reparti più grandi e a maggiore affluenza di pazienti. Le lamentele si sono accumulate negli anni e l'Aifa le ha recepite, tanto più che era difficile dimostrare risparmi eclatanti. Risultato: oggi si usano solo per le gene-therapies e per le cell-therapies, mentre man mano che i pazienti arruolati non ci sono più si vanno esaurendo accordi negoziati anni fa. Per il resto, si preferisce spalmare pagamenti "integrali" su più tranche o negoziare sconti magari utilizzando il "capping", un budget oltre il quale non si può andare pena l'obbligo di ripianare lo sforamento in capo all'azienda».

Nel frattempo, per approvare a carico Ssn un farmaco autorizzato nei 27 stati membri, l'Aifa impiega in media 90 giorni per il parere del comitato tecnico scientifico, altri 90 per quello del comitato prezzi, ma può chiedere altri incartamenti e da 6 mesi di ritardo previsto si arriva a oltrepassare l'anno. «Chiariamo, l'Aifa è uno di quei pezzi di pubblica amministrazione che funzionano molto bene, ma ci sono procedure interne che impongono tempi e possono dilatarsi giusto perché l'Agenzia fa il suo dovere, chiede chiarimenti nell'interesse del malato. Sicché, se passano una settantina di giorni dall'ok del Chmp, il comitato tecnico scientifico di Ema, all'autorizzazione formale della commissione europea a Bruxelles negli stati membri, il passaggio successivo da noi comporta l'attivazione di più uffici in tempi diversi. Ma più il negoziato si fa fitto, più il tempo vola». E si perde. E a nulla giova l'aver rinunciato ai Mea per snellire il lavoro dei centri sperimentali. «Con i managed agreement sul tavolo negoziale c'erano da subito più opzioni. Sarebbe auspicabile riprenderli - dice Gianfrate - in modo che il Servizio sanitario sborsasse solo per i pazienti rispondenti alle terapie, soprattutto di fronte a farmaci nuovissimi. Ma bisognerebbe in parallelo snellire delle farragginosità interne, per parlar franco sarebbe da valutare l'opportunità che Cts e Cpr si riunissero più volte in un mese anziché 1-2 così da finalizzare più rapidamente i negoziati con i produttori, naturalmente riconoscendo agli eccellenti professionisti che li compongono, che per questo sottraggono tempo alle loro quotidiane attività professionali per il Ssn o l'Università o altro, il giusto riconoscimento economico».

E dopo però c'è il passaggio successivo, l'inserimento nei prontuari regionali. «Un ritardo nella rimborsabilità è anche strumento per ritardare la spesa, anche questo fa parte del gioco ma fino a un certo punto, per la maggior parte dei farmaci autorizzati il salto non è incolmabile, si parla di nuove terapie che costano il 10% in più e solo in qualche caso di costi spaventosi. Nondimeno oggi per un malato oncologico si spendono anche fino a 120 mila euro l'anno di terapie contro i 400 di 40 anni fa. Negli anni le regioni hanno acquisito potere negoziale, ciascuna ha il suo prontuario, e un farmaco approvato in Aifa per tutta Italia per essere disponibile in "periferia" può attendere altri mesi; nelle regioni dove i comitati si riuniscono spesso bastano 2 settimane per allinearsi, in quelle - specie al Sud - dove le riunioni sono più "rade" c'è maggior ritardo. Morale, un paziente tedesco riceve la terapia dopo 15 giorni-un mese dall'approvazione di un farmaco all'Ema, un paziente italiano dopo 500 giorni». Società scientifiche ed associazioni di pazienti potrebbero avere un ruolo nel prioritarizzare interventi di Autorizzazione in commercio per nuovi farmaci di riconosciuta efficacia ma Gianfrate sottolinea: «nessuna delle due tipologie ha un ruolo ufficiale nei processi autorizzativi. Anche nel mondo anglosassone ci sono i Patient Advocacy Groups. Ma al di là di azioni di lobbying più o meno efficaci mediaticamente, come per gli anti-epatite, non ha avuto alcun seguito fin qui la proposta, che di quando in quando si riaffaccia, di farli sedere ai tavoli. Va considerato che questi processi decisionali sono regolati da norme di diritto positivo, in pratica per dare voce al paziente in questo campo delicato ci vorrebbe una legge».

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TAG: BELANTAMAB, MIELOMA MULTIPLO

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