Farmaci
26 Ottobre 2022 Le cellule Car-T per curare tumori e leucemie; le terapie geniche contro malattie neurologiche, oculistiche, metaboliche; l’ingegneria tissutale: sono questi i farmaci innovativi, per lo più infusivi, che rientrano nella categoria ATMP
Le cellule Car-T per curare tumori e leucemie; le terapie geniche contro malattie neurologiche, oculistiche, metaboliche; l’ingegneria tissutale: sono questi i farmaci innovativi, per lo più infusivi, che rientrano nella categoria ATMP (“advanced Therapy Medicinal Products”) e consentono cure su misura a malati rari o di patologie gravi e complesse. Spesso hanno bisogno di una sola somministrazione, hanno target ristretti –specie sulle malattie orfane– ma i costi sostenuti dai produttori sono ingenti. I servizi sanitari spesso sono in difficoltà nell’attribuire loro un prezzo per il rimborso. Per sostenere ricerca, produzione, commercializzazione a carico della sanità pubblica, il V Report presentato all’Istituto Superiore di Sanità formula quattro proposte alla politica: adottare una modalità di definizione del prezzo che consideri l’effetto presunto nel lungo periodo; riattivare in certi casi accordi di rimborso condizionato per superare od integrare logiche di sconto; individuare con attività di Horizon Scanning i centri di riferimento per la somministrazione; rafforzare i programmi formativi per le figure che gestiscono i trial.
L’Italia è stata tra i primi paesi ad approvare farmaci innovativi nel 2018-19, poi ha subìto la rimonta degli altri partner europei. Origina ormai in Europa, peraltro solo il 16% dei trial clinici, contro il 38 degli Usa e il 30 dell’Asia. I paesi europei perdono terreno; i loro sistemi sanitari sono riluttanti a pagare a prezzo pieno l’innovazione salvo poi riconoscerne a posteriori l’efficacia in termini di vite salvate o rallentamenti di patologie in atto. Le terapie avanzate, per le agenzie regolatorie nazionali, presentano problematiche a livello di valutazione degli esiti, di approvazione, d’indicazione del prezzo prima e dopo. Gli studi in genere non sono comparativi: il pagante nel decidere le condizioni d’accesso di una terapia non può confrontarla con alternative sul mercato perché non ce ne sono. Può fare confronti indiretti, con difficoltà, rispetto ad interventi terapeutici pregressi contro le stesse patologie. Nell’autorizzare in commercio può o meno basarsi controlli statistici su dati storici, alcuni stati lo fanno ed altri no. C’è poi incertezza sugli effetti e sulla loro durata nel tempo: chi paga vorrebbe acquistare risultati tangibili, e li vede o fidandosi di estrapolazioni nel lungo periodo o effettuando studi post-marketing (e spesso le valutazioni “real life” a lunga scadenza, hanno confermato le evidenze prospettate). I servizi sanitari chiedono inoltre che nei costi da essi sostenuti siano incluse le spese organizzative. Claudio Jommi, docente SDA Bocconi, porge poi tre esempi di diversità di posizioni tra acquirente e produttore. Primo: nelle valutazioni costo/efficacia, posto che la verifica sull’efficacia avviene a posteriori, anni dopo, le sanità chiedono uno sconto che in genere non tiene conto dei benefici futuri, mentre le case produttrici prevedendo benefici duraturi nel tempo chiedono scontistiche inferiori. Secondo: malgrado questi farmaci godano di una procedura d’immissione in commercio centralizzata in Unione Europea, sono poi gli stati membri a dettagliare le condizioni di negoziazione, e ogni stato fa da sé. E se in Nordeuropa si conteggiano i costi evitati grazie a guarigioni e mancate progressioni di malattia, nel resto d’Eutopa no. Terzo: si tratta spesso di terapie one-shot, da pagare subito. Il loro costo non si spalma su più mesi o su cicli, ma l’impegno economico è immediato. Così, si adottano forme di pagamento rateizzato che si scontrano con principi contabili degli stati. Ciò penalizza soprattutto le malattie rare che già faticano ad attirare investimenti. In due casi di recente è avvenuto che, pur autorizzati in UE, dei principi attivi siano stati tolti dal commercio perché i produttori ne hanno verificato la non sostenibilità. Anche le negoziazioni che precedono la fissazione del prezzo differiscono: la Germania non le pratica, ma solo a posteriori, visti i dati, chiede o meno uno sconto, con una procedura che ha portato al ritiro del 15% dei farmaci prima approvati. Il Regno Unito si è avviato verso una procedura molto selettiva. La Francia predilige accordi prezzo/volume.
In Italia l’AIFA con il comitato tecnico scientifico e con il comitato prezzi e rimborsi ha un approccio basato sugli esiti, ma nelle ultime due approvazioni si è orientata verso lo sconto non “outcome based”, procedura che lascia delle perplessità. Giuseppe Maduri (Astellas Pharma) per Farmindustria spiega che il privato è alle spalle di almeno metà dei trial su farmaci avanzati; e in Italia riguardano trial su terapie avanzate 0,7 miliardi degli 1,7 postati in ricerca e sviluppo dai produttori. Sforzi che rischiano di arenarsi per più motivi contingenti. Maduri cita: la mancata approvazione dei decreti attuativi sul riordino dei comitati etici e i conseguenti rallentamenti delle sperimentazioni cliniche; la riluttanza del SSN a sobbarcarsi costi per le terapie adeguati a renderne sostenibile la commercializzazione; i problemi a livello periferico nel qualificare i centri preposti a somministrare le nuove cure; infine, la necessità di figure professionali per gestire i trial: se l’industria le sta formando, altri “stakeholder” stentano a causa di una legislazione arretrata al 2006.
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