sanità
28 Luglio 2023 La legge sul “Diritto all’oblio oncologico” è una legge etica ed è la prima tappa di un percorso che Fondazione AIOM con #iononsonoilmiotumore proseguirà per altri diritti negati ai pazienti oncologici. A sottolinearlo nell’editoriale pubblicato su Onconews Giordano Beretta, Direttore UOC Oncologia Medica
La legge sul “Diritto all’oblio oncologico” è una legge etica ed è la prima tappa di un percorso che Fondazione AIOM con #iononsonoilmiotumore proseguirà per altri diritti negati ai pazienti oncologici. A sottolinearlo nell’editoriale pubblicato su Onconews Giordano Beretta, Direttore UOC Oncologia Medica, ASL Pescara P.O. Pescara, Presidente Fondazione AIOM, Past President AIOM. Ecco il suo testo integrale.
“I Numeri del Cancro in Italia (ultimi dati disponibili) stimano in oltre 390mila le nuove diagnosi di tutti i tumori nel 2022. I morti per tumore nel 2021 sono stati oltre 181mila, dato sostanzialmente simile alla previsione di circa 175mila decessi nel 2022. I morti per la pandemia COVID sono stati, in Italia, circa 190mila in 3 anni, quindi una media di 60mila all’anno. Questi dati dimostrano come la mortalità per cancro sia ancora un problema rilevante, al punto che, spesso, si parla di queste malattie (che non sono una ma un insieme di malattie differenti) come “il male del secolo”, “il brutto male”, una malattia che non può essere nominata perché Cancro uguale morte e, spesso, uguale morte con dolore.
Spesso si parla di battaglia contro il cancro da cui escono vincenti solo pochi sopravvissuti (sempre la similitudine bellica, la necessità della lotta, un linguaggio guerreggiante che non piace, per primi, ai pazienti).
Nella realtà, le poche conoscenze matematiche ci dovrebbero far capire che 180mila è meno della metà di 390mila e, quindi, almeno il 50% sopravvive alla diagnosi. Si potrebbe pensare che, comunque, prima o poi, moriranno per il cancro. La realtà è, però, differente.
La prevalenza della patologia oncologica, cioè il numero di persone che sono vive dopo una diagnosi di cancro riguarda, infatti, un numero rilevante di soggetti, quasi il 6% della popolazione italiana. Nel 2006 erano 2 milioni e mezzo e si è passati a circa 3,6 milioni nel 2020, pari al 5,7% della popolazione italiana. Interessante notare che l’aumento è stato particolarmente marcato per coloro che vivono da oltre 10 o 15 anni dalla diagnosi. Nel 2020, circa 2,4 milioni, il 65% del totale e il 3,8% della popolazione, hanno avuto una diagnosi da più di 5 anni, mentre 1,4 milioni di persone, pari al 39% del totale, hanno ricevuto la diagnosi da oltre 10 anni. Di questa moltitudine di soggetti almeno 1 milione ha le caratteristiche per essere considerato guarito.
All’interno di questi 3,6 milioni di pazienti ci sono diverse tipologie: pazienti in fase acuta, cioè all’inizio della loro storia o dopo la comparsa di una recidiva; pazienti in fase cronica, cioè con una malattia presente ma controllata nel suo decorso dai trattamenti farmacologici; pazienti lungosopravviventi, cioè senza malattia ma con un tempo dalla diagnosi ancora troppo breve per ipotizzare una guarigione; pazienti guariti, cioè senza ripresa di malattia in assenza di trattamento attivo e con un intervallo libero dall’ultimo trattamento tale da far immaginare che la malattia non sia più presente.
Quindi si può guarire dal cancro? Il termine “guarito” in oncologia è stato, spesso, sottoutilizzato preferendogli termini come lungosopravvivente o, addirittura, sopravvissuto. In realtà si conosce da tempo che esistono dei pazienti che possono, con ragionevole probabilità, essere considerati guariti. In particolare, si assume che un paziente che abbia avuto una pregressa patologia oncologica sia da considerare guarito quando il suo rischio di morte risulta sovrapponibile al rischio di morte di soggetti pari età e pari sesso, non determinando più la patologia oncologica un eccesso di mortalità rispetto alla popolazione generale. Ovviamente questo è un concetto statistico e non è possibile con certezza assoluta definire che il singolo soggetto non possa, in realtà, morire per la patologia oncologica ma, con certezza statistica, la sua probabilità di morire per qualunque causa, compreso quella oncologica, non è superiore a quella di chiunque altro.
Due sono gli strumenti che possono essere utili nell’individuare i potenziali guariti, la frazione di guarigione, cioè il numero di pazienti affetta da quella patologia che non morirà per la patologia, e il tempo alla guarigione, cioè il tempo necessario perché, nella media dei soggetti con pregressa diagnosi, la patologia oncologica non determini rischio di morte aggiuntiva. Entrambi questi elementi sono diversi tra le differenti tipologie di tumori. In questa valutazione gioca un peso anche l’età del paziente. In un soggetto più anziano le cause di mortalità determinate da altre patologie tipiche dell’avanzare dell’età sono talmente numerose da superare il rischio di mortalità per cancro. Diversamente può avvenire per un soggetto in più giovane età. Esistono, però, delle patologie in cui la frazione di guarigione è così elevata ed il tempo alla guarigione così breve che, oltre ogni ragionevole dubbio, il paziente può essere considerato guarito trascorso un certo tempo dalla diagnosi, essendo il rischio di mortalità aggiuntiva così basso da non essere rilevante anche in assenza di mortalità competitiva. In più il rischio di morte per la patologia oncologica è influenzato, oltre che dalla tipologia di neoplasia, dallo stadio alla diagnosi e dalla disponibilità di trattamenti curativi. Per ogni patologia oncologica andrebbero quindi definiti tempi completamente differenti per definire un soggetto guarito ma, nella stragrande maggioranza dei casi, un soggetto che sia libero da malattia oltre i dieci anni dal termine del trattamento può, in assenza di recidiva, essere considerato realmente guarito. Per molti malati di cancro, l'eccesso di rischio di morte è diventato lo stesso della popolazione generale entro 5-10 anni dalla diagnosi. Fanno eccezione a questa regola alcune neoplasie in cui il tempo di guarigione è più lungo e tutte le neoplasie insorte nell’età infantile ed adolescenziale in cui tale tempo può essere ragionevolmente ridotto a cinque anni.
Il fatto che un soggetto che ha avuto una patologia oncologica possa essere considerato guarito rappresenta un radicale cambiamento di paradigma: da “cancro male incurabile” a “cancro patologia cronica da cui si può guarire”. Non sempre si guarisce, questo purtroppo non è ancora possibile e difficilmente lo sarà in assoluto in futuro, bensì si può guarire. Questo cambio di paradigma può diventare anche un elemento motivante per l’adesione agli screening, una volta che si sia compreso che la guarigione è tanto più facile quanto più precoce è la diagnosi. La definizione di paziente oncologico guarito può quindi avere anche un ruolo di sanità pubblica.
Sebbene il paziente oncologico possa quindi giungere ad un punto in cui può essere considerato guarito dal punto di vista medico questo spesso non corrisponde ad una guarigione giuridica e sociale. In sostanza un paziente oncologico, anche quando la sua malattia non comporti più un eccesso di mortalità aggiuntiva viene considerato un “guarito malato” e rischia di incontrare difficoltà nella sua vita quotidiana quando, ad esempio, cerchi di stipulare una assicurazione sulla vita o richieda un mutuo od un finanziamento bancario per avviare una attività. Meno difficoltà, o quanto meno non difficoltà esplicite, incontra nel mondo del reinserimento lavorativo ma la situazione professionale delle persone con diagnosi di cancro ha dimostrato di deteriorarsi considerevolmente due anni dopo la diagnosi. Può inoltre avere un più impegnativo percorso quando decida di iniziare un percorso di adozione, sebbene non ci sia alcuna norma che controindichi l’adozione neppure a pazienti che non è possibile dichiarare guariti, in assenza di un rischio di morte immediata. La problematica presenta quindi alcuni aspetti culturali che richiedono la necessità di una informazione per tutti i cittadini e, spesso, anche per la classe medica e di una formazione per taluni operatori, quali ad esempio i magistrati, sul problema, ma può avere impatti reali nel mondo assicurativo e bancario. In effetti, una precedente diagnosi di cancro è ancora considerata equivalente a un’aspettativa di vita più povera e lo stigma rimane, indipendentemente dalle condizioni effettive della cura o alla cronicizzazione della malattia cronica.
Diversi Stati Europei hanno promulgato delle leggi ad hoc per definire i termini secondo i quali le compagnie assicurative possono richiedere informazioni circa una pregressa patologia oncologica, a partire dalla Francia, seguita poi da Olanda, Belgio, Lussemburgo, Portogallo e Romania. In queste legislazioni viene esclusa la possibilità di richiedere informazioni circa il passato oncologico di pazienti liberi da malattia da dieci anni, se la malattia era insorta in età adulta, o 5 anni in caso di patologia insorta in soggetti minorenni.
Nel febbraio 2022 la Commissione Europea nell’ambito del piano oncologico europeo ha quindi auspicato che tutti gli stati membri si dotino di una legge sul “Diritto all’Oblio Oncologico”; e non limitandosi a esplicitare tale concetto auspica che ciò avvenga entro il 2025.
In Italia il tema è stato sollevato già da anni ed ha coinvolto molti diversi attori, da società scientifiche ad associazioni di pazienti. Su tale base Fondazione AIOM ha deciso di lanciare, nel gennaio 2022, una campagna di raccolta firme a sostegno della proposta di una legge sul Diritto all’Oblio Oncologico, accompagnata da una campagna social per diffondere la conoscenza del problema della discriminazione del paziente oncologico guarito a tutta la cittadinanza (#iononsonoilmiotumore). A tale campagna hanno aderito diverse società scientifiche, associazioni di pazienti e di cittadini e sono state raccolte oltre 107mila firme. Nel frattempo, nel corso del 2022, sono state presentate almeno 4 proposte di legge, da parte di partiti di ogni orientamento politico ma la fine della legislatura nel luglio 2022 le ha fatte decadere. Nella nuova legislatura sono stati presentati ulteriori progetti, da tutte le forze politiche e dal CNEL e il testo unico elaborato dalla Commissione parlamentare dovrebbe essere discusso in Aula alla fine di luglio 2023.
La legge sul diritto all’oblio permetterebbe di non dover più dichiarare una patologia oncologica trascorsi 5 anni dal termine dei trattamenti nel caso di un tumore insorto prima dei 18 anni e 10 anni nel caso di età superiore a 18 anni alla diagnosi, in assenza di recidive. Ma, come accade già in Francia, con il tempo potremmo ottenere ulteriori riduzioni, perché esistono patologie oncologiche riscontrate in stadi iniziali per cui è possibile parlare di guarigione già dopo un solo anno dalla diagnosi. Per questo, una volta approvata la legge, bisognerà poi creare delle tabelle per fare le dovute distinzioni.Questa legge non punta alla cancellazione dei dati sanitari personali che devono continuare a essere presenti e disponibili nei sistemi informatici pubblici, perché servono a monitorare l’evoluzione del proprio quadro clinico, ma anche a poter continuare ad usufruire di eventuali agevolazioni o esenzioni dal ticket, servono alla valutazione della performance del Sistema sanitario e servono alla ricerca.
La legge sul “Diritto all’oblio oncologico” è una legge etica ed è la prima tappa di un percorso che Fondazione AIOM con #iononsonoilmiotumore proseguirà per altri diritti negati ai pazienti oncologici. C’è vita dopo il cancro”.
Giordano Beretta
Direttore UOC Oncologia Medica, ASL Pescara P.O. Pescara, Presidente Fondazione AIOM, Past President AIOM
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