sanità
22 Giugno 2023 Le 1.400 Case di comunità previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non assolveranno alla stessa funzione delle decine di migliaia di studi medici attualmente attivi in Italia. Lo afferma Alberto Oliveti presidente Enpam alla presentazione del 2° rapporto Eurispes-Enpam sul Sistema Sanitario italiano
Le 1.400 Case di comunità previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non assolveranno alla stessa funzione delle decine di migliaia di studi medici attualmente attivi in Italia». Lo afferma Alberto Oliveti presidente Enpam alla presentazione del 2° rapporto Eurispes-Enpam sul Sistema Sanitario italiano. Un documento che fa luce su oltre 10 anni di definanziamento, dalla crisi dei mutui subprime del 2008 al 2019, e quindi sugli interventi svolti negli anni dell’emergenza Covid-19, fino ai giorni nostri, quando tratta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e del decreto ministeriale 77 che riforma l’assistenza territoriale con circa 8 miliardi tra fondi europei e del piano nazionale complementare. L’investimento top del PNRR è sulle Case di Comunità, ne è programmata una ogni 42 mila abitanti, ma il fatto stesso di essere intervenuti con un decreto per mettere dei paletti alle regioni nell’affrontare le carenze di personale sanitario chiarisce che è difficile trovare risorse umane. Specie in un contesto dove dal 2022 al 2027 perderemo una media di 2373 medici di famiglia l’anno, con un crollo previsto del 30% della forza lavoro, e dove si profila un calo pure degli infermieri (-10%). Proprio sulle case di comunità, perciò, Oliveti evoca vuoti assistenziali, «se non si imposterà al contempo un progetto di rilancio dell’attuale rete degli studi di medicina generale. Enpam in tal senso sta concretizzando un progetto che consentirà ai medici di base di aggregarsi in studi più strutturati, organizzati e attrezzati, pur continuando a garantire una presenza realmente capillare e flessibile sul territorio». Si parla di studi “spoke”, da allestire «con attrezzature avanzate per sfruttare soluzioni di telemedicina, «un’iniziativa velocemente realizzabile e consensuale, in quanto promossa dalla stessa categoria che deve attuarla. Crediamo che una volta realizzata, possa essere altamente efficace per il miglioramento dell’assistenza sanitaria territoriale secondo gli obiettivi del Pnrr».
Il Rapporto indaga quindi l’altra faccia del definanziamento, dei 37 miliardi sottratti fra 2010 e 2019 al servizio sanitario: le diseguaglianze ed i viaggi della speranza nonché gli interventi persi durante il Covid-19 che oggi incrementano le prestazioni da recuperare. L’Italia si è affacciata alla pandemia con regioni del Nord che fatturavano centinaia di milioni per interventi in elezione su pazienti del Sud, le cui amministrazioni di provenienza versavano ogni anno risorse poi impiegate da Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna per mantenere il turnover. Lo stesso turnover che in Calabria o Campania non è più riuscito: ogni tre esodi ci sono state due assunzioni di personale.
Nei tre anni del Covid lo Stato ha liberato 11,4 miliardi di finanziamenti d’emergenza ma non tutti sono stati stanziati. E poi, del personale medico ed infermieristico ingaggiato tra 2020 e 2022, è stabilizzato solo il 6% dei medici ed il 26% degli infermieri, in un contesto con salari tra i più bassi d’Europa. Quanto alle liste d’attesa, nel 2020-21 sono saltati 400 mila interventi chirurgici (dati SIC), 1,3 milioni di ricoveri, e le attese per esami e visite sono raddoppiate, da 3 a 6 mesi. L’Osservatorio Salute Previdenza e Legalità Eurispes-Enpam ribadisce richieste già avanzate ai governi: bed management negli ospedali per liberare più rapidamente reparti e sale operatorie; utilizzo ottimizzato di infermieri ed assistenti sanitari nell’attività istituzionale; pieno recupero della diagnostica con l’affiancamento di ambulatori territoriali (inclusi studi mmg) all’ospedale; mobilitazione dei medici di famiglia per elencare paziente per paziente tra quelli a rischio le prestazioni prioritarie per la prevenzione; impiego dei 235 milioni stanziati alle Asl dalla Finanziaria 2019 per dotare gli studi di apparecchi diagnostici di primo livello; campagna di sensibilizzazione alla popolazione sugli screening, affiancata da un abbassamento del ticket per le aree patologiche a maggior rischio.
Dopo le interviste agli opinion leader (Nino Cartabellotta Gimbe, Filippo La Torre Collegio Italiano Chirurghi, Silvestro Scotti Fimmg, Barbara Mangiacavalli Fnopi) ecco due capitoli “nuovi”. Il primo si chiede se in Italia si sia fatto di tutto contro il coronavirus, e ci mette a confronto con la Germania, riuscita a finanziare una medicina territoriale più efficiente di prima – dall’alto di una spesa sanitaria pari all’11% del loro prodotto lordo contro il nostro 6,5–contenendo i danni, da noi amplificati dal ricorso ad ospedali che avevano perso 45 mila letti in 10 anni. Il confronto ne evoca un secondo tra due regioni-simbolo, la Lombardia che fa perno sull’ospedale ed il Veneto più attento alla medicina convenzionata che ha evitato lo “tsunami” di vittime di Covid-19. Il secondo capitolo riguarda, come spiega il Presidente Osservatorio Eurispes-Enpam Salute, Legalità e Previdenza, Carlo Ricozzi, «il contrasto agli illeciti in materia sanitaria affrontato in due documenti elaborati dalla Guardia di Finanza e dall’Arma dei Carabinieri. Grazie al lavoro dell’Osservatorio, spiega il presidente Eurispes Gian Maria Fara, «riteniamo sia ora possibile andare oltre le specifiche tematiche legate alla pandemia per affrontare una riforma del SSN che prenda le mosse proprio dai limiti mostrati nel recente passato».
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