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Fondazione Italiana per il Cuore

05 Giugno 2023

Diabete e malattie cardiovascolari: il peso dell’inerzia terapeutica e della mancata aderenza alle terapie

Dall’aderenza alle terapie all’inerzia dei clinici nel modificare i piani di trattamento, inserendo farmaci innovativi al miglioramento della comunicazione medico/paziente: questi i principali ostacoli al raggiungimento di una salute cardiovascolare ottimale nelle persone con sindrome cardio-metabolica


Diabete e malattie cardiovascolari: il peso dell’inerzia terapeutica e della mancata aderenza alle terapie

La mancanza di valutazione degli esiti clinici, una formazione medica non aggiornata, la non implementazione dei nuovi metodi diagnostici e anche la comunicazione inefficace tra operatore sanitario curante e paziente sono tutti fattori che concorrono all’inerzia terapeutica da parte dei clinici e alla scarsa aderenza alle terapie da parte delle persone con diabete, spesso interessate da una sindrome cardio-metabolica che li espone a rischio cardiovascolare. A parlare di questi aspetti, delineando gli ostacoli al raggiungimento di una salute cardiovascolare ottimale nella persona che soffre di diabete, sono stati gli esperti intervenuti nella seconda parte dell’incontro “La malattia cardiovascolare nella persona con diabete in Italia”.

Daniele Andreini, direttore di Cardiologia Clinica, Imaging e di Cardiologia dello Sport dell’IRCCS Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano, ha sottolineato come  sia fondamentale conoscere lo status cardiovascolare del paziente diabetico grazie all’utilizzo di tecniche avanzate come l’angiografia coronarica non invasiva. L’analisi precoce di questo aspetto, ha sottolineato l’esperto, offre due scenari: “quello dei pazienti che non hanno malattie coronariche e quello dei pazienti diabetici con lesioni iniziali non ostruttive, che hanno una prognosi che a volte è simile a quella dei pazienti con lesioni critiche”. La tematica richiede attenzione in quanto fa emergere l’importanza della collaborazione diabetologo-cardiologo”, ha concluso Andreini.

Ovidio Brignoli, vicepresidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), ha portato il punto di vista dei medici di medicina generale che affrontano la gestione della patologia cardio-metabolica nella sua complessità dato che sono abituati a trattare un ampio ventaglio di patologie cardiovascolari. Brignoli ha rimarcato un aspetto importante che riguarda l’inerzia terapeutica da parte dei Medici di Medicina Generale (MMG) imputabile, da un lato, al fatto che “i medici di medicina generale sono stati ammessi alla prescrizione delle nuove terapie meno di due anni fa”, e dall’altro, che “finora il medico era educato a curare la malattia e poco le persone e, nonostante si stia cercando di recuperare questo gap, per fare un cambio generazionale ci vogliono anni”. Altri punti sottolineati da Brignoli sono stati la mancata concreta attivazione dei PDTA nella pratica professionale e la mancanza di valutazione dei risultati di cura. In riferimento alle nuove terapie, Brignoli parla anche del mancato aggiornamento dei MMG che andrebbero dunque formati oltre che coinvolti anche in progetti di ricerca clinica sul territorio. Secondo Brignoli, in conclusione, “è necessario cambiare la modalità di gestione della cronicità sul territorio perché non esistono i pazienti affetti solo da diabete, ma pazienti con multi-morbilità, fragili e complessi”.

Infine, Annalisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva, ha portato il punto di vista dei cittadini/pazienti, evidenziando che spesso c’è “una discrasia tra percepito del clinico e del paziente”. Il tema più importante nell’approccio alle malattie croniche in generale, secondo Mandorino, “è la mancata interazione tra il medico di medicina generale e gli specialisti, e tra gli stessi specialisti, in questo caso del diabetologo e del cardiologo, e la mancanza di PDTA che includano i due punti di vista”. A questo, anche secondo la segretaria di Cittadinanzattiva, si unisce il tema della valutazione degli esiti di salute. “C’è ancora molto da fare per rendere il paziente protagonista della cura”, ha proseguito l’esperta. Inoltre, il tema della scarsa aderenza terapeutica, caratterizzata da percentuali altissime, intorno al 50% “, è molto legato anche all’organizzazione dei servizi, come la mancanza di una distribuzione efficace territoriale dei farmaci – ha sottolineato Mandorino - con costi e difficoltà a carico del cittadino, così come al numero di farmaci da assumere che spesso è elevato, oltre che al problema comunicazionale tra medico e paziente.
Dal punto di vista dei medici, invece, il motivo più critico, causa della scarsa aderenza da parte del paziente, è la mancanza di tempo durante la visita, ossia un tempo di cura non adeguato, “che non permette loro quel dialogo con il paziente che è alla base del successo terapeutico”, ha raccontato Mandorino, ricordando anche che “questi aspetti andrebbero considerati nel loro insieme”, tra tutte le figure coinvolte, con diverse competenze, impegnate nel migliorare l’aderenza terapeutica. E in ogni caso, “bisogna coinvolgere i pazienti, dotarli di informazioni, dar loro la possibilità di accedere facilmente ai servizi, per far diventare il cittadino stesso chiave nel miglioramento del processo”, ha concluso Mandorino. 

Articolo tratto dallo speciale Barriere e inerzia terapeutica.

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