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Farmaci

10 Ottobre 2023

Managed entry agreements per i farmaci innovativi. A Roma una tavola rotonda fa il punto

I farmaci innovativi possono costare troppo ai servizi sanitari. Così l’Italia, dagli anni Novanta – antesignana nel mondo – grazie all’Aifa ha concluso con le industrie produttrici accordi di accesso condizionato al mercato che consentono di assegnare nuovi trattamenti ai pazienti pur in carenza di dati sui benefici terapeutici


I farmaci innovativi possono costare troppo ai servizi sanitari. Così l’Italia, dagli anni Novanta – antesignana nel mondo – grazie all’Agenzia del farmaco ha concluso con le industrie produttrici accordi di accesso condizionato al mercato che consentono di assegnare nuovi trattamenti ai pazienti pur in carenza di dati sui benefici terapeutici. Anche nel resto d’Europa ci sono Managed Entry Agreements, ma i nostri nei decenni si sono accompagnati a preziose evidenze scientifiche contenute nei Registri di monitoraggio dei centri dove i farmaci sono erogati. Più di recente, ai farmaci innovativi ed oncologici innovativi sono stati dedicati due fondi da 500 milioni l’uno, poi confluiti in uno solo che quest’anno è arrotondato a 1,2 miliardi e nel ’24 ne varrà 1,3.  Negli ultimi anni però i MEA non solo vengono usati un po’ meno, ma –come spiega l’ex DG dell’Agenzia Luca Pani, oggi docente di farmacologia all’Università Modena Reggio – sono meno collegati ai dati dei registri per patologia nazionali, che li hanno sostenuti. E ci sono situazioni in cui le regioni hanno problemi ad applicarli. A livello internazionale si tende a sostituirli con strumenti in teoria più raffinati, come Innovative Value Agreements (IVA). È il caso di voltare pagina o il binomio MEA-Registri è esperienza da rivitalizzare? Se n’è occupato un workshop organizzato da Edra con la deputata Vanessa Cattoi (Commissione Bilancio); tra gli ospiti, oltre a Pani, Barbara Rebesco, Direttore politiche del farmaco Regione Liguria, ed Eugenio Mercuri del Dipartimento Scienza salute della Donna, del Bambino e di Salute Pubblica del Policlinico Gemelli a Roma. È stato letto anche un intervento di Mauro Marè economista LUISS che ribadisce come i costi per spese sanitarie quali quella per farmaci innovativi siano investimenti per i ritorni che portano in termini di anni di vita in buona salute acquisiti, ma va distinto ciò che è investimento e ciò che non lo è.

Perché I MEA sono in crisi nel mondo
Negli anni si sono sviluppati due tipi di accordi tra servizi sanitari ed industrie: “risk sharing” e “financial-based”. Gli accordi di condivisione del rischio basici partono da una trattenuta percentuale sul rimborso in relazione agli insuccessi terapeutici. Ma si sono presto evoluti nel payment by result (dove l’industria, pagata, rimborsa al 100% i fallimenti terapeutici nei primi cicli di terapia o entro una certa data) o nel success fee, dove il Servizio sanitario paga l’azienda una volta valutati i successi terapeutici. Gli accordi “financial based” condividono i costi tra aziende e servizi sanitari, con questi ultimi che chiedono da subito uno sconto sul prezzo del farmaco moltiplicato per i pazienti eleggibili ed i cicli di terapia previsti, o chiedono all’azienda di pagare le confezioni erogate oltre il superamento di un certo tetto, o di abbassare il prezzo all’aumentare delle dosi erogate. Pani ricorda come in Italia la prima sperimentazione di “MEA” si sia avuta con il progetto Kronos che affidava alla sola prescrizione di Unità Valutative Alzheimer l’erogazione di farmaci contro questa malattia. Con l’istituzione dell’European Medicines Agency e con la presa a modello dei registri Aifa, i primi anni Duemila vedono un importante sviluppo dei meccanismi d’accesso condizionato al mercato, e nel decennio successivo arrivano a 300 gli accordi Aifa legati ai registri di monitoraggio. Oggi gli accordi basati sugli outcome si stanno però riducendo, e l’Italia è divenuta uno dei paesi comunitari dove l’accesso al mercato si ottiene più rapidamente e, nei tempi, quasi indipendentemente dal fatto che l’accordo sia o meno condizionato alla condivisione del rischio tra SSN ed azienda produttrice. Tra i problemi osservati nei MEA: da noi, pesa il carico amministrativo, fino a 40 minuti per compilare il registro per ogni paziente; negli accordi dove si anticipano risorse, più di un paese a fronte di insuccessi non chiede indietro le cifre “indebitamente” anticipate e molti stati UE oggi preferirebbero concordare con le aziende forti sconti sul prezzo pieno. Altri problemi dei MEA in Italia: attiviamo a volte più aree terapeutiche per lo stesso farmaco rispetto ad altri paesi, e i dati diventano difficili da confrontare; in Europa, come tutti, incontriamo problemi di confidenzialità con altri stati nello scambio di dati sulle contrattazioni con le aziende. Fuori continente, conclude Pani, «sui comportamenti delle industrie sta per pesare l’adesione degli USA all’ International Health Pricing che per i rimborsi alle casse nazionali Medicare e Medicaid detta criteri più restrittivi: difficile prevedere se a causa di ciò le trattative future in Europa si profilano più difficili».

I problemi di gestione in Italia
Rebesco segnala da parte sua gli inconvenienti incontrati dalle regioni nell’applicare i MEA di condivisione del rischio. Intanto, una conferma: in caso di insuccessi nel raggiungimento del target terapeutico le risorse anticipate dalla regione non rientrano; ciò avviene negli accordi “payment at result” dal fondo farmaci innovativi, riconosciuti per regola in unica soluzione. Sempre sul fondo innovativi, si dovrebbe assegnare uno stanziamento intangibile per i farmaci in cui le aziende condividessero con AIFA una valutazione di budget impact. Ancora: «Avere il dettaglio dei farmaci che concorrono a costituire le spese sul fondo farmaci innovativi potrebbe essere utile per noi regioni a capire effettivo costo delle terapie. Sempre come regioni, per alimentare i registri in modo efficace cerchiamo di coinvolgere al massimo i clinici delle reti per patologia ma serve che il sistema, centralizzato, restituisca i dati inseriti per il bene dei conti regionali e per motivare gli operatori. Infatti, in Liguria siamo coinvolti con altre 4 regioni in una ricerca RWE in oncologia e dovremmo potere fruire di quelle informazioni. Infine, occorre rendere interoperabili le varie piattaforme inerenti al paziente trattato: ad una terapia che si chiude per una reazione avversa dovrebbe far riscontro la possibilità di aprire la piattaforma per la farmacovigilanza; la stessa banca dati Inps delle assenze dei lavoratori dovrebbe potersi interfacciare con i registri regionali». Tra gli elementi che cambieranno a breve gli scenari, Rebesco cita l’applicazione del regolamento europeo sull’Health Technology Assessment che da gennaio 2025 prevede una valutazione centralizzata sui farmaci oncologici e dal 2027 per quelli sulle malattie rare. Avrà ricaduta sulle negoziazioni anche l’arrivo di farmaci mirati alla modificazione del gene per il trattamento di più tumori.

Verso soluzioni condivise
Vanessa Cattoi sollecita un dialogo serrato con l’Europa nell’ingegnerizzare i nuovi accordi con le aziende: strada ineludibile, per Pani. Mercuri chiede una più stretta connessione tra decisori amministrativi, ricerca clinica e Camere nelle politiche regolatorie. «Nelle malattie neuromuscolari dei bambini sperimentiamo terapie che applicate soprattutto in fase precoce di malattia danno tassi di sopravvivenza impensabili fino a qualche anno fa. Peraltro, nei trial clinici osserviamo che non è nettissimo il confine tra pazienti respondent e non respondent, ci sono fasi e percezioni diverse nella cura di una malattia. Ai registri nazionali ne andrebbero affiancati di accademici e la collaborazione tra Aifa e clinici, con la cooptazione delle associazioni di pazienti, ci aiuterebbe a trovare criteri oltre che a gestire real world data».

TAG: FAMACEUTICA, MANAGED ENTRY AGREEMENTS

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