Pharma
11 Maggio 2023 Vicino al paziente, inserito in team multiprofessionali, spesso indispensabile nei trial clinici come nel technology assessment, più frequente in ospedale che sul territorio, dipendente del Servizio sanitario nazionale: è il farmacista ospedaliero che sempre più spesso diventa “farmacista clinico”, presente in ogni reparto
Vicino al paziente, inserito in team multiprofessionali, spesso indispensabile nei trial clinici come nel technology assessment, più frequente in ospedale che sul territorio, dipendente del Servizio sanitario nazionale: è il farmacista ospedaliero che sempre più spesso diventa “farmacista clinico”, presente tendenzialmente in ogni reparto, con competenze che lo rendono interprete dei bisogni del paziente. Se ne è parlato a Roma, agli Stati generali della professione farmaceutica ospedaliera e territoriale del Servizio sanitario nazionale, organizzati dal sindacato dei farmacisti SSN Sinafo e dalla Sifact, Società Italiana di Farmacia Clinica e Terapia. Roberto Frontini ricercatore italiano e docente all’Università di Lipsia, traccia un identikit di questo farmacista. Che da una parte sa come ci si rifornisce di terapie, o come si monitorano i flussi di cassa; ma in più opera nei reparti, e non sempre staziona nella farmacia “centrale”, comunica con il paziente, ne sorveglia la terapia, mette le sue conoscenze a disposizione dei clinici e rendiconta i processi di cura tracciati nelle cartelle cliniche elaborando percorsi di appropriatezza non più retrospettivi ma “just in time”. All’ospedale Mauriziano di Torino, come dimostra l’esperienza raccontata da Annalisa Gasco, a fronte di due soli farmacisti rimasti nella farmacia “centrale”, sono arrivati a 12 i farmacisti clinici operativi nei reparti, con 9 figure in formazione (4 gli specializzandi). «Il farmacista clinico fa informazione al paziente ed ai professionisti sanitari dell’équipe; possiede esperienza ed una formazione mirata all’interlocuzione multiprofessionale», dice la presidente Sifact Francesca Venturini. Negli Stati Uniti le sue competenze si estendono a nozioni di farmacoterapia per patologia, capacità di interloquire con i medici nella selezione del trattamento farmacologico appropriato ed in quella dei pazienti per i percorsi clinici, alla riconciliazione delle terapie, alle transizioni di cura tra ospedale e territorio. «Cambia anche la formazione», aggiunge Venturini. «Si passa da quella frontale all’apprendimento interattivo da sviluppare in setting che simulano situazioni di “vita reale”; ed alla formazione interprofessionale con gli specializzandi di discipline mediche».
Vanno quindi cambiati i contenuti della formazione specifica, post-laurea, come sottolinea presidente Sinafo Roberta Di Turi: «Per avere organici adeguati e preparati, serve una iper-specializzazione che si fa sul campo e nel territorio. Dobbiamo cambiare i percorsi della formazione che è ormai inequivocabilmente farmacia clinica e va declinata nelle due specializzazioni ospedaliera e territoriale». In perfetta sintonia appare il Presidente Farmindustria Marcello Cattani durante la tavola rotonda della seconda giornata di lavori, ospiti il past president dei produttori Massimo Scaccabarozzi, Anna Lisa Mandorino (Cittadinanzattiva), Teresa Petrangolini (Patient Advocacy Lab di Altems), e rappresentanti di Agenas e Nas: «Dopo il Covid si sono investiti nel mondo 10 miliardi di dollari in ricerca con un’accelerazione tecnologica impressionante. Ora dobbiamo abbracciare il cambiamento col quale il farmacista deve convivere, facendo da ponte tra cittadino e medico. Le competenze scientifiche e regolatorie dovranno essere sempre più ampie, per misurare non solo la sopravvivenza ma anche la qualità della vita dei pazienti, senza perdere di vista il controllo dei costi».
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