Intervista
25 Gennaio 2024 Con una retribuzione che, tra le donne, è inferiore del 20% rispetto agli uomini, che nelle posizioni dirigenziali scende fino al 24%, anche nel settore della sanità i temi del gender gap e dell’equità di genere sono molto sentiti. A dar voce a “tutte le donne che lavorano in questo ambito, non solo quelle in posizioni apicali” è la community “Donne protagoniste in sanità”
Con una retribuzione che, tra le donne, è inferiore del 20% rispetto agli uomini, che nelle posizioni dirigenziali scende fino al 24%, anche nel settore della sanità i temi del gender gap e dell’equità di genere sono molto sentiti. A dar voce a “tutte le donne che lavorano in questo ambito, non solo quelle in posizioni apicali” è la community “Donne protagoniste in sanità”, come spiega a Sanità33 Monica Calamai, direttore generale della AUSL Ferrara e presidente e fondatrice della community.
L’obiettivo è contribuire con “una voce che si senta e che renda evidente quelle che sono le scelte organizzative della sanità”, spiega Calamai, raccontando che “la community, che ha avuto subito un consenso importante di adesioni, è nata dall’idea di creare una rete di donne su scala nazionale per far sentire la loro voce dal momento che, anche di fronte a un pensiero elaborato da donne, emergeva sempre la presenza maschile, con un automatismo non necessariamente in malafede, ma pur sempre patriarcale”.
A livello di retribuzione, come spiega Calamai, "la differenza è reale, soprattutto nel mondo socio-sanitario privato, dettata da un diverso contratto. Tuttavia, il dato emerge anche nelle aziende pubbliche, dove il delta è legato al fatto che le donne in posizioni apicali lavorano soprattutto part time, ad esempio per scelte familiari dovute spesso all’assenza di strutture di supporto come gli asili nido. Accanto a questo – evidenzia l’esperta – c’è la scelta di dedicare meno tempo alla libera professione”. Soprattutto tra le over 50, quindi, “c’è un percorso di carriera completamente diverso; per cui, tra i medici, i direttori di struttura complessa o semplice sono uomini, ma questo trend lo ritroviamo anche nelle altre professioni sanitarie”. Questo, nonostante la fotografia scattata nel 2020 dia un quadro di netta maggioranza numerica delle donne in ambiti sanitari. “Il 68,6% della popolazione del servizio sanitario è femminile – rincara Calamai – e la prevalenza arriva quasi all’80% per l’area infermieristica, ma anche in area medica, a differenza del passato, ora la percentuale di uomini e donne è equiparabile”.
Tra le strategie da mettere in atto per cambiare questa situazione, oltre alle scelte di welfare aziendale, quindi asili nido e supporto per la gestione dell’anziano, secondo Calamai c’è la certificazione di genere. “È uno strumento che risale al 1995 e permette un’analisi all’interno dell’azienda rispetto a una serie di parametri di valutazione sulla gender equity, per pianificare una serie di azioni per appianare l’equità di genere all’interno della azienda, ma anche a livello di servizi che si propongono alla popolazione”, spiega Calamai.
Con la donna, dunque, che con la sua sensibilità ha un ruolo centrale nell’approccio al paziente e che dà spazio alla conversazione quale tempo di presa in carico e di cura, l’esperta, in accordo a quanto spiegato da altri autorevoli esponenti, sottolinea che “senza un’equità di genere non c’è progresso. Nell’evoluzione, così come nella grande trasformazione che stiamo vivendo, accompagnata dall’equità di genere, il contributo delle donne - conclude Calamai - diventa determinante per trapassare questa crisi significativa”.
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