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Intervista

13 Luglio 2023

L’ospedale del futuro secondo l’Oms. Intervista a Stefano Capolongo

Resiliente, sostenibile, green, flessibile. Ma non deve vivere troppo, bensì “il giusto”. Questo l’ospedale del futuro che prende le mosse nel pensiero di architetti e urbanisti. Un documento chiave a livello mondiale è stato prodotto a giugno in materia dall’Organizzazione mondiale della Sanità


L’ospedale del futuro secondo l’Oms. Intervista a Stefano Capolongo

Resiliente, sostenibile, green, flessibile. Ma non deve vivere troppo, bensì “il giusto”. Questo l’ospedale del futuro che prende le mosse nel pensiero di architetti e urbanisti. Un documento chiave a livello mondiale è stato prodotto a giugno in materia dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Si chiama “Hospital of the future-Technical brief on re-thinking the architecture of hospitals” e ha tra gli ispiratori Stefano Capolongo, Direttore del Dipartimento ABC (Architecture, Built environment and Construction engineering) del Politecnico di Milano. A Sanità 33, Capolongo spiega come preludano al documento anni di ricerca al Politecnico, dove in tempo di pandemia è stato prodotto un decalogo di raccomandazioni per le istituzioni, con concetti poi rientrati nel “technical brief”. In quest’ultimo l’OMS per la prima volta «inizia ad occuparsi anche di spazi e non solo di epidemie e gestione organizzazione della sanità pubblica». Tra gli aspetti innovativi, l’esigenza di pensare l’ospedale sia dall’interno sia all’esterno, costruito sulle esigenze delle reti digitali e capace di ospitare tecnologia, ma soprattutto accessibile, in forte relazione con il territorio.



Capolongo è anche presidente del Cneto, Centro Nazionale Edilizia e Tecnica Ospedaliera, organismo multidisciplinare, composto da architetti, ingegneri, medici, economisti, e rivolto a dettare linee d’indirizzo alle istituzioni. Una su tutte? Oggi gli ospedali centenari non sono più proponibili. «il continuo progredire delle conoscenze scientifiche ha un ruolo nel rendere obsolete le strutture – spiega Capolongo – si stima che il ciclo di vita di un ospedale sia 40-50 anni; ma nel Servizio sanitario si impiegano fino 10 anni tra progetto e realizzazione di una struttura, quindi i tempi realizzativi vanno ridotti».  Altro aspetto: «Gli ospedali del futuro devono caratterizzarsi per flessiblità, cioè capacità di adattarsi nel tempo, e resilienza, cioè attitudine ad assorbire grosse ondate d’emergenza o pandemia». Non ci si può più permettere ospedali solo di emergenza o solo di elezione. «Noi progettiamo strutture con autonomia impiantistica, dove se si scoprono infezioni capaci di propagarsi si può isolare una parte». Importante la lezione della Scandinavia dove ormai si progettano «ospedali con camere singole che possono diventare doppie così in emergenza contagi si isola la camera e al contrario in caso di catastrofe si raddoppiano posti letto, come anche si può inserire un caregiver di supporto al paziente».

Nel documento OMS si parla anche di sostenibilità. Ma un ospedale da 500 letti inquina come una città da 20 mila abitanti. Si può fare di meglio? «Gli ospedali per loro natura sono energivori, hanno un’impronta ecologica importante. Dobbiamo applicare tutti gli accorgimenti per ridurre l’impatto ambientale, ma certo non ci si può basare solo sulle energie rinnovabili per far funzionare un impianto così complesso. Va introdotto il massimo della sostenibilità su aree non di emergenza, mentre non si può parlare di fonti rinnovabili per sostenere l’attività di blocchi operatori, terapie intensive, reparti ad alta intensità di cura». Il documento OMS parla poi di “salute in tutte le politiche”, da declinarsi in well-being (benessere e non solo assenza di malattia); in questo, ha un posto importante il “green”. Capolongo conferma che il “verde” è una sfida per gli urbanisti e anche per chi progetta ospedali, «non solo migliora la qualità dell’aria e riduce il calore nelle città; studi di design evidence based dimostrano che allo stazionamento del paziente in camere d’emergenza che guardano sul verde si correla una maggior capacità di recupero del paziente. Questo ci spinge ad associare nelle nostre linee guida ad indicatori quantitativi (superficie finestre e della camera) anche indicatori qualitativi come la “vista” che si gode da una camera, e a misurare la performance dell’ospedale anche sul concetto di inclusività, di mettere a terra strumenti più inclusivi possibili».

Come si raccorda alla città l’ospedale del futuro? «Il Dipartimento ABC lavora con OMS sul concetto di Urban Health, cioè la capacità delle città di produrre salute. In città nel 2050 vivrà oltre il 70% della popolazione mondiale, e avrà una speranza di vita maggiore del resto della popolazione, in media, perché la città genera più economia, offre più chance di istruzione e d’accesso ai servizi, anche sanitari. Non a caso oggi l’Italia con il Piano Nazionale di Ripresa e resilienza mira a rafforzare l’accesso ai servizi sanitari sul territorio edificando Case ed ospedali di comunità e centrali operative che potenzieranno il raccordo ospedale-città».

Ludovico Baldessin

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