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Governo e Parlamento

07 Febbraio 2023

Equo compenso, ecco cosa prevede la proposta di legge in arrivo al Senato

Gli studi medici e dentistici convenzionati con i fondi sanitari integrativi devono essere pagati con tariffe congrue. Le assicurazioni devono riconoscere, ai sanitari, ma anche ad altri professionisti, cifre proporzionate alla qualità ed alla quantità del lavoro svolto, ed al contenuto della prestazione. Lo afferma la proposta di legge sull’equo compenso, presentata alla Camera da Giorgia Meloni


Equo compenso, ecco cosa prevede la proposta di legge in arrivo al Senato

Gli studi medici e dentistici convenzionati con i fondi sanitari integrativi devono essere pagati con tariffe congrue. Le assicurazioni devono riconoscere – ai sanitari, ma anche ad avvocati ed altri professionisti – cifre proporzionate alla qualità ed alla quantità del lavoro svolto, ed al contenuto della prestazione. Altrettanto devono fare le banche con gli avvocati, i notai, e tutte le imprese con ogni professionista ingaggiato tutelato da ordine, inclusi ingegneri, architetti, geometri, giornalisti. Lo afferma la proposta di legge sull’equo compenso, presentata alla Camera da Giorgia Meloni (Fdi) con il deputato leghista Jacopo Morrone. Approvato all’unanimità, il testo passa ora al Senato e può diventare legge a breve. Una volta in vigore, imporrà le nuove regole alla Pubblica Amministrazione, nonché a banche assicurazioni ed imprese con più di 50 dipendenti e fatturato oltre i 10 milioni di euro. Non saranno toccate le piccole realtà. E neanche le convenzioni in corso. Né si parla, nel testo, di rapporti medico-paziente. Unica particolarità: l’ordine potrà esprimere pareri di congruità. Nei contratti con i fondi sanitari, dunque, in futuro non sarebbero ammissibili onorari micro, ma solo conformi ai parametri previsti dal 2012 per le professioni tutelate. Si riapre dunque, almeno in parte, all’istituzione di tariffari minimi ordinistici nazionali.

Sulle tariffe minime c’è da fare una breve digressione: furono abolite nel 2007 dalla legge Bersani. Ma subito i soggetti che in precedenza le dovevano rispettare si sono visti liberi di contrattare i compensi a prezzi spesso così bassi che dopo un po’ i tariffari minimi sono stati riabilitati, sia dalla legge 27/2012 che ha ammesso compensi proporzionati al lavoro svolto per gli avvocati, sia dalla sentenza 532/2015 dell’Unione europea, che ha ammesso la facoltà degli stati membri di lasciare compensi codificati a tutela della prestazione. Dal 2017 si è riaperto in parlamento il dibattito e, alla fine dell’ultima legislatura, è decaduta una proposta di legge ad hoc. Meloni-Morrone l’hanno ripresa. Oggi, in campo medico, gli unici che potrebbero ottenere “tutela” sono gli studi con convenzioni con fondi integrativi. Gli ordini potranno sia concordare con le assicurazioni modelli standard di convenzione adottando specifiche norme deontologiche, sia sanzionare i professionisti che accettino compensi sottodimensionati rispetto alla prestazione resa. Dettaglio da ricordare: a differenza di altre professioni, la Fnomceo non ha un tariffario minimo. A tentare un abbozzo ha provato qualche anno fa l’Ordine dei Medici di Roma, che ha appena rimesso in piedi la commissione preposta. «I nostri sono parametri “indicativi” perché il divieto della legge Bersani sulle tariffe minime resta. Ma dall’altra parte di problemi se ne presentano, su vari versanti», dice Antonio Magi, presidente Omceo Rm. «La Magistratura, in base alla legge invia spesso a noi ordini richieste di parere per definire se la tariffa di una perizia sia da ritenersi congrua. Singoli iscritti ci chiedono poi pareri quando entrano in contrasto con i pazienti sul prezzo di una prestazione, ad esempio per una diversa valutazione dell’apporto immateriale del professionista. In questo scenario, le assicurazioni hanno concordato con le case di cura tariffe forfettarie in genere basse, per prestazioni singole o in gruppi che prevedono il pagamento alla clinica; se il convenzionamento è diretto il paziente può non sborsare una lira, se è indiretto paga il paziente e viene rimborsato; nel primo caso per un esame la clinica può trovarsi ad accettare, senza troppa voce in capitolo, una bassa tariffa comprensiva di costo della prestazione, delle macchine, del loro ammortamento, del proprio utile e dell’onorario del professionista. La scommessa è che più sono le prestazioni eseguite, più il patto è economicamente sostenibile per gli attori coinvolti. Ma a nostro avviso il paziente non è tutelato: si persegue la quantità più della qualità e il medico non sempre è adeguatamente remunerato».

«A Roma – ribadisce Magi – abbiamo fissato indicazioni di congruità per alcune prestazioni, regole da considerarsi interne alla professione ma utili nel confronto; ed oggi con la commissione stiamo rifacendo i calcoli, in attesa di tariffe legate ad una legge che ci consenta di proteggere meglio i pazienti». La Meloni-Morrone è quella legge? «In questa fase ci aiuta ma non entra nei contenuti delle professioni, e sia nel testo sia negli emendamenti oserei dire sembra dimenticare che il medico ha un ordine alle spalle. Il ruolo degli ordini appare “generico”, non si entra nello specifico di una tutela del diritto alla salute che non è omologabile ad altri diritti, e ha sue peculiarità. Il cittadino assicurato ad esempio continua a non sapere come è stata costruita la prestazione di cui ha fruito, se la tariffa al medico è stata o no retribuita, e dunque-tra le altre cose- se il servizio su cui ha contato è solido e durevole o non lo è».

TAG: SANITà GOVERNO

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