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Governo e Parlamento

18 Luglio 2023

Nel nuovo Piano Oncologico Nazionale al centro il paziente. Ora serve un coordinamento

È dettagliato e definisce un approccio globale ai tumori, provando ad integrare prevenzione, screening e presa in carico. Ma il Piano Oncologico Nazionale 2023-27 varato quest’anno sembra ancora un libro dei desideri, difficile da “mettere a terra”. Per realizzarlo servirebbe un coordinamento e se ne potrebbe monitorare l’attuazione in parlamento


Nel nuovo Piano Oncologico Nazionale al centro il paziente. Ora serve un coordinamento

È dettagliato e definisce un approccio globale ai tumori, provando ad integrare prevenzione, screening e presa in carico. Ma il Piano Oncologico Nazionale 2023-27 varato quest’anno sembra ancora un libro dei desideri, difficile da “mettere a terra” (anche visti i precedenti con il Piano di Ripresa e Resilienza, quest’ultimo peraltro finanziato voce per voce). Per realizzarlo servirebbe un coordinamento e se ne potrebbe monitorare l’attuazione in parlamento. Le proposte sono emerse a Roma all’evento “dall’approvazione all’attuazione del Pon”, organizzato dall’Health & Science Bridge del Centro Studi Americani di cui è coordinatrice Beatrice Lorenzin e realizzato con la media partnership di Edra e il supporto alla campagna divulgativa di Roche.

Le criticità del PON - A differenza degli omologhi francese e di altre nazioni comunitarie, il Piano italiano non indica chi debba coordinare gli interventi né offre indicazioni su come effettuarli e con quali figure, né detta indicatori misurabili. Tutto ciò emerge dagli interventi di Walter Ricciardi presidente del Mission Board on Cancer in Europa e di Francesco Perrone presidente eletto degli oncologi AIOM. Le pecche del Piano sono intanto nelle cose che non ci sono, elencate da Francesco De Lorenzo presidente dell’associazione di pazienti FAVO ed ex ministro della Salute. «È lacunoso sull’accesso dei pazienti ad un’oncologia di qualità, sulla radioterapia, sulla riabilitazione, sull’oncologia pediatrica. Non parla di qualità della vita né detta strade per aderire agli screening. Se nel piano UE si chiede al 2025 di raggiungere una copertura del 95% delle coorti, in Italia al Nord siamo all’80%, al Sud le adesioni sono si e no il 35%». Ci sono poi misure che andrebbero meglio definite come spiega Carmine Pinto presidente Ficog, Federation of Italian Cooperative Oncology Groups: «Ridurre gli spostamenti dei pazienti per le cure, costruire reti oncologiche funzionanti nelle regioni, coordinare diversi livelli di assistenza includendo sul territorio il medico di famiglia, rivedere i criteri di profilazione di molecole e terapie orientate su target molecolari ormai richieste dal 35% dei tumori (un campo dove l’Aifa decide per le terapie ma non sui test a monte) sono elementi per i quali serve una governance». A latere, per Pinto, serve «un organismo preposto a coordinare la ricerca, come da regolamento europeo sulle sperimentazioni cliniche».

Le diseguaglianze - Altro “must”, cooptare le associazioni dei pazienti nei percorsi terapeutici e gestionali a beneficio di malati e caregiver: ne accenna il past president dei primari d’oncologia Cipomo Luigi Cavanna. «La vera differenza rispetto al piano francese sta nella presenza Oltralpe di un National Cancer Institut, cioè di un meccanismo di coordinamento forte che in Italia non c’è ed è sostituito di fatto da 21 autonomie regionali», dice Americo Cicchetti (Scuola Altems Università Cattolica di Roma), che avverte: «Ci sono altri 18 piani settoriali accanto al Pon: o si armonizzano questi documenti o si rischiano incoerenze e sprechi». Nello Martini past president AIFA e oggi presidente della Fondazione Ricerca e Salute spiega che «l’assenza di una governance pesa almeno in tre aspetti: assenza di indicatori facili da misurare, previsione di un rapido sviluppo dell’accesso ai test di profilazione genomica, inserimento di alcuni test di genetica molecolare nei livelli essenziali di assistenza». Per la senatrice Maria Domenica Castellone con un PON scollato dal paese l’autonomia differenziata può ancor più allargare i gap esistenti. «Il ddl Calderoli consente di devolvere competenze nello stabilire l’equivalenza dei farmaci e la facoltà di fare contratti diversi agli specializzandi: la regione che se lo potrà permettere potrà passare dal contratto di formazione a quello di formazione lavoro (che significa più personale a disposizione e reti specialistiche più definite ndr) qualcun'altra non potrà farlo».

Le proposte - «Serve una road map degli interventi da effettuare per favorire la ricerca e la sua ricaduta nell’offerta SSN – riassume Lorenzin– e servono strumenti per attuare il piano, sul dettaglio e la messa a terra delle nuove reti oncologiche, sul potenziamento dei registri tumori e sul recupero dei dati esistenti. Si potrebbe prendere il piano francese almeno per la metodica in cui entra in connessione con l’accesso a finanziamenti PNRR e di programmi come EU Mission on Cancer». Cinque le criticità individuate: il coordinamento mancante già citato, le misure da cui partire, il coinvolgimento dei malati, i pochi (fin qui) soldi da investire. Lorenzin propone a Vanessa Cattoi presidente dell’intergruppo parlamentare sull’oncologia di istituire un sottogruppo-osservatorio sul monitoraggio degli interventi per attuare il Piano. La deputata Elena Bonetti (cmmissione Affari Sociali) ha proposto un emendamento per portare nella prossima finanziaria da 10 a 30 i milioni annui con cui alimentare il Fondo per la realizzazione del Piano. Ma bisogna sapere come usarli e si torna al tavolo tecnici-politici e all’osservatorio proposti rispettivamente da Stefania Gori (Irccs Negrar Verona) e dalla stessa Lorenzin.

Ruolo di reti e trattamento dati - Per rendere “di prossimità” l’oncologia italiana vanno invece rafforzate le reti di specialisti. Come avverte Stefania Boccia, vicedirettore Policlinico Gemelli, mancano figure genetisti per la prevenzione e la comunicazione delle suscettibilità, biologi molecolari per i molecular tumor board, sono compiti per cui potrebbero formarsi gli oncologi. E forse servirebbe una qualche funzione in più –evocata da Castellone– per la medicina territoriale. Criticità ulteriore, anche in prospettiva per la digitalizzazione dei dati delle cartelle cliniche, è la restrittiva (per molti) “vision” italiana del General Data Protection Regulation: si dovrebbero smussare alcuni ostacoli coinvolgendo il Garante della Privacy. Altri protagonisti dell’incontro sono stati Ruggero De Maria (presidente Alleanza contro il cancro), Adriana Bonifacino (Fondazione IncontraDonna), Filippo De Braud (Istituto Tumori Milano), Federico Caligaris Cappio (AIRC), Paolo Marchetti (IDI Roma), Giulia Veronesi (Tavolo tecnico tumore al polmone).

Link: https://www.youtube.com/watch?v=Xc2elNLqALA

TAG: SANITà GOVERNO

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