Ricerca
10 Novembre 2022 All’Italia servono un’anagrafe integrata dei progetti di ricerca, se non proprio quell’Agenzia per la ricerca che il decano dei ricercatori italiani Silvio Garattini chiede da tempo, una cabina di regia governativa per l’innovazione. E serve anche che il mondo delle life science si doti di una rappresentanza unitaria di fronte alle istituzioni
All’Italia servono un’anagrafe integrata dei progetti di ricerca, se non proprio quell’Agenzia per la ricerca che il decano dei ricercatori italiani Silvio Garattini chiede da tempo, una cabina di regia governativa per l’innovazione. E serve anche che il mondo delle life science – industria farmaceutica, biotech e medtech – si doti di una rappresentanza unitaria di fronte alle istituzioni, come avviene in Nord Europa. L’Italia spende solo l’1,5% del prodotto interno lordo in ricerca, e sta crescendo timidamente: non tutti i paesi europei possono vantare il segno “più”. Ma per l’appunto, qualcosa di più si può fare. Lo affermano i relatori del simposio su ricerca ed innovazione al Forum Meridiano Sanità promosso dalla Fondazione Ambrosetti. Ad esempio, siamo primi al mondo per numero di pubblicazioni per ricercatore e per citazioni di pubblicazioni in ambito Life Sciences nell’Unione Europea; abbiamo i numeri per candidarci ad “ecosistema” attrattivo in ambito europeo per ricerca, innovazione e manifattura avanzata. Ma al di là di norme che penalizzano l’innovazione, imponendo all’industria tetti di spesa ed obblighi di ripiano inediti altrove, manca una visione strategica di sviluppo. Si riassume così la relazione di Paivi Kerkola (Pfizer) che invoca un patto strategico per il settore ed una voce sola con la politica.
I difetti nella nostra macchina istituzionale ci sono. Giuseppe Ippolito, attuale DG Innovazione del ministero della Salute, o l’ex DG AIFA Guido Rasi individuano almeno due problemi: la frammentazione dei finanziamenti e degli attori della ricerca e la ritrosìa degli enti regolatori a guardare ai risultati di lungo periodo. Ippolito offre uno spaccato sullo stato dei finanziamenti europei previsti dal Piano nazionale di Ripresa e resilienza. «In Italia c’è un rischio di frammentazione delle sovvenzioni alla ricerca. In questi mesi si è consolidato un contatto tra ministeri di Salute, Università e Sviluppo economico per evitarla. Ma servirebbe un’anagrafe della ricerca; ci sono oggi differenti domande a diversi ministeri per uno stesso progetto, finanziamenti che passano dall’Europa alle regioni di cui al centro non c’è traccia, regioni – specie del Sud, dove si stanno accumulando ritardi – che non hanno adeguate capacità propositive e non possono mettere a frutto gli stanziamenti del PNRR. In questi giorni sono partiti controlli per evitare duplicazioni di progetti e fenomeni per cui lo stesso progetto viene finanziato più volte». Rasi sottolinea come altri UE abbiano agenzie integrate, medica e veterinaria, che –sul modello della FDA Usa, vincente nella lotta al Covid-19 – centralizzano il monitoraggio dei progetti di ricerca e coordinano la generazione di evidenze con istituti clinici di punta. «Le agenzie regolatorie –aggiunge Rasi – dovrebbero predisporsi a misurare anche gli impatti di lungo termine. Sulle piattaforme RNA si è dovuto attendere 20 anni per trarre benefici». Franco Locatelli (Consiglio superiore di sanità) porge un esempio di come il continuo cambio nelle conoscenze e la necessità degli enti regolatori di documentare rapporti costo/beneficio convenienti a breve per i sistemi sanitari siano un mix fatale: «due terapie geniche per leucemie e talassemie sono state ritirate dal mercato europeo perché nei paesi Ue i produttori non trovavano conveniente commercializzare; ma fino a che punto possiamo fare a meno di terapie che hanno fino al 90% di successi?»
Amerigo Cicchetti docente di economia sanitaria alla Cattolica di Roma ed esperto di valutazioni di nuove tecnologie, ricorda che a inizio anno è entrato in vigore in UE il regolamento sull’ Health Technology Assessment che cambierà il funzionamento delle agenzie regolatorie centralizzando le decisioni all’EMA. Sarà l’agenzia europea più lungimirante degli enti regolatori nazionali o dovranno essere questi ultimi a capire gli impatti sociali delle terapie calandole nelle proprie realtà nazionali e proiettandole nel tempo? La risposta probabilmente è la seconda. Ma spetta alla politica dettare regole e tempi per coordinare gli interventi: lo afferma Beatrice Lorenzin: «Oggi il ministero della Salute è vergognosamente debole, depotenziato e frammentato, senza potere impositivo», dice l’ex ministro della Salute. «Invece dovrebbe poter costruire politiche economiche, sanitarie e di ricerca, di concerto con Ministeri di Università e Sviluppo, nonché politiche di salute ambientale e regolatorie». «La sanità – sottolinea per Cittadinanzattiva, Annalisa Mandorino – è l’unica leva dove possiamo utilizzare politiche di equità sociale che si realizzano subito, e dove l’inclusione sta in norme operative dall’oggi al domani; usiamo questa possibilità».
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