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25 Marzo 2024

Trial clinici, con la Ia si apre una nuova era della ricerca

Nel 2016 il Cures Act varato dal governo federale americano ha stanziato per vari anni somme che superano, complessivamente, i tre miliardi di dollari al fine di conferire maggiore forza e più risorse alla ricerca pubblica, in particolare nella cura dei tumori e delle malattie neurodegenerative


Trial clinici, con la Ia si apre una nuova era della ricerca

«Delle 10.000 patologie esistenti, 200 delle quali sono rare, solo 500 hanno delle terapie. Nel 2016 il Cures Act varato dal governo federale americano ha stanziato per vari anni somme che superano, complessivamente, i tre miliardi di dollari al fine di conferire maggiore forza e più risorse alla ricerca pubblica, in particolare nella cura dei tumori e delle malattie neurodegenerative. E la prospettiva è quella di dare sempre più spazio al paziente anche in questo ambito». La premessa di Carlo Tomino - coordinatore “Ricerca e Sviluppo” della ricerca clinica presso l’Irccs San Raffaele di Roma e presidente del Comitato etico Roma 5 - rimanda alla necessità di modernizzare i trial clinici, di renderli più in linea con esigenze terapeutiche sempre più impellenti. L’occasione di parlarne è il convegno organizzato da Afi-Associazione farmaceutici industria presso l’Istituto europeo di oncologia di Milano: «L’evoluzione delle metodologie di gestione e analisi dei dati nella sperimentazione clinica: gli sviluppi futuri».
«La nuova frontiera», continua Tamino, «è rappresentata dagli studi paziente-centrici, dai real world data, dalla trasparenza delle informazioni. Questo significa, in definitiva, un maggiore coinvolgimento del paziente nei processi di ricerca e nella comunicazione finale dei risultati degli studi clinici. C’è poi tutto l’universo delle terapie digitali, dei wearables, delle App, che conducono verso possibilità sempre più ampie di decentralizzazione dei clinical trial, fino a casa del paziente, come si usa dire. Ci troviamo, anche grazie all’intelligenza artificiale, all’alba di una nuova era della ricerca medica. Un treno che passa veloce e che l’Italia non può perdere. Come è successo nell’ambito produttivo, nel quale il Paese è leader in Europa, anche in quello della ricerca si deve approntare una legislazione che favorisca gli investimenti».
«Le nuove tecnologie», sottolinea in apertura il presidente di Afi Giorgio Bruno, «hanno cambiato radicalmente l’approccio degli specialisti alla gestione dei dati della sperimentazione clinica. È cambiato proprio il paradigma e l’oggetto dei lavori di oggi è proprio quello di comprendere queste nuove evidenze e la possibilità di elaborare nuovi modelli anche utilizzando le potenzialità dell’intelligenza artificiale».

«Rispetto ai tempi nei quali la raccolta dei dati delle ricerche cliniche era manuale e l’allestimento di database un po’ artigianale moltissimo è cambiato», aggiunge Lorenzo Cottini, country manager di Evidenze Health e moderatore dei lavori per Afi. «Siamo passati prima a una raccolta che si giovava dei nascenti strumenti digitali per arrivare oggi a molteplici fonti, da quelle tradizionali a quelle provenienti da wearable e App utilizzate dai pazienti. La questione oggi non è tanto la quantità dei dati ma la loro qualità, ovvero la verifica delle fonti: sono esse credibili e utilizzabili a fini scientifici?».

«Il contesto della ricerca clinica è molto peculiare», afferma Oriana Nanni, direttrice Biostatistica e sperimentazioni cliniche presso l’Irccs Irst Dino Amadori di Meldola, «perché abbiamo a che fare con gli esseri umani e dobbiamo avere la massima fiducia nei risultati che andiamo a ottenere. Mi occupo di ricerca sul cancro da decenni e la sperimentazione di un farmaco, quando ho iniziato, era molto più approssimativa e dai benefici limitati sui pazienti. Oggi le terapie approvate sono molto più efficaci. Sul piano delle procedure, le cosiddette metodologie adattive ci aiutano ad avere evidenze importanti e precise avvalendoci del minor numero possibile di pazienti da inserire nella sperimentazione clinica. C’è poi tutto il discorso della grande quantità di dati oggi disponibili in medicina, che non può non essere utilizzata per migliorare la nostra salute. È una miniera d’ori ma si tratta di maneggiarla con cautela: dati finti o raccolti male hanno conseguenze deleterie sulla ricerca. Questo è l’invito che rivolgo ai data analyst, compresi quelli del mio istituto, di assoluta eccellenza nella ricerca oncologica: massima attenzione alla selezione e alla verifica del dato. È vero che l’intelligenza artificiale costituisce un grande supporto, in termini di riduzione dei tempi, ma questo non implica l’eliminazione di possibili errori. Non deve diminuire in alcun modo l’attenzione sulla qualità del dato: come è stato raccolto, che cosa contiene… Come si faceva una volta, in assenza di tecnologie avanzate come quelle odierne, con i modelli di regressione predittiva che usavamo per valutare i fattori prognostici. Compito delicatissimo: valutare attentamente nel piccolo quello che poi troverà applicazione in ampie fasce della popolazione».
«Questa giornata di studio evidenzia come il mondo della ricerca clinica evolva in modo vertiginoso, di pari passo con le nuove tecnologie», spiega Maria Grazia Valsecchi, ordinaria di Statistica medica a Milano-Bicocca. «Il ruolo dei ricercatori di ambito accademico è quello, quindi, di sviluppare a loro volta nuovi metodi per disegnare studi sempre più efficienti. La tecnologia può aiutare a renderli più rapidi e, al tempo stesso, più credibili. Lavorando da anni nel campo della statistica medica devo dire che l’avvento dell’intelligenza artificiale e dei dispositivi medici indossabili e delle App è per me molto stimolante. Allo stesso tempo dobbiamo sempre ricordare che la ricerca clinica parte dai pazienti, che vanno sempre più coinvolti. Noi statistici partiamo dal presupposto che, se i dati di partenza non sono credibili non saranno credibili nemmeno gli esiti della ricerca. Fondamentale e delicato, quindi, il compito dell’università nel perseguire l’obiettivo di metodologie il più possibile affidabili dal punto di vista scientifico».

Giuseppe Tandoi

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