Pharma
26 Agosto 2022 Amazon, il colosso globale delle consegne online, acquista One Medical, fornitore di cure primarie negli Stati Uniti, un colosso che annovera 77 tra ambulatori medici e piccole cliniche, qualcosa di equivalente alle nostre case e ospedali di comunità, e che vale 3,9 miliardi di dollari, oggi il valore è pari a quello dell’euro. Neil Lindsay, vicepresidente Amazon, ha dichiarato di ritenere che l’assistenza sanitaria sia in cima alla lista di esperienze che hanno bisogno di essere reinventate. In altre parole, nell’esperienza del paziente-tipo oggi ci sono attese, viaggi lunghi, pause dal lavoro, visite di pochi minuti. In Amazon ci si è chiesti se queste cose possono cambiare e One Medical in effetti può contare su abbonati ai servizi di erogazione di cure, in genere lavoratori dipendenti assicurati con fondi integrativi, una rete assistenziale attiva H24 7 giorni su 7, tanta telemedicina per visite e monitoraggi e app per accedere a referti telematici e ricette. Per formalizzare l’accordo si attende il voto degli azionisti di One Medical che nel 2020 intanto ha fatto l’esordio in borsa e nel 2021 si è mosso per la campagna vaccinale. Nell’erogatore Usa, peraltro, chi vive in Italia sarebbe portato a vedere, più che un grande “player" nelle cure primarie e nella cronicità, un operatore attento al digitale, alle visite da remoto, a forme di prevenzione, alla medicina di genere, sportiva, pediatrica.
Per Nerina Dirindin, ex senatrice ed assessore alla Salute in Sardegna, docente di Economia del Welfare e di Scienza delle finanze all’Università di Torino, «ad un primo esame, più che alle case di comunità, dove si dovrebbe garantire una presa in carico integrata e multi-professionale, le strutture di One Medical sembrano più simili a poliambulatori dove si eroga diagnostica di primo livello. Amazon intuisce la possibilità di rispondere con queste strutture all’insoddisfazione di un’utenza ampia costituita da “consumatori” e datori di lavoro, e mira a vendere a questi ultimi nuovi servizi un po’ come fossero beni. Infatti, di quali servizi si tratta? Non si parla di assistenza a persone con problemi; al contrario, si porta una assistenza di base “dove le persone vanno, fanno shopping, lavorano”. Un’assistenza pensata per chi ha bisogno di acquistare qualcosa che sollevi dall’ansia. “Reinventare l’assistenza di base” è una frase che usa un verbo bello ed eloquente, mai utilizzato da noi, che pure l’assistenza di base l’abbiamo. Nelle cose da reinventare ci sono gli spostamenti e le attese, ma – andando a scavare – c’è anche una medicina di primo livello, “people services” e “capitation”, che appare vecchia, e tende a creare “incentivi disallineati”, cioè a remunerare il medico in modo ritenuto poco congruo dai terzi paganti. One Medical ha medici dipendenti e una quota elevata di servizi di telemedicina, di cui c’è stato un crescente bisogno dopo la pandemia, ma nei quali leggo una possibile maggior incidenza di prestazioni non fondamentali per la salute. Anche la prevenzione attraverso lo sport e gli stili di vita, volendo, può essere letta in armonia con le richieste di un lavoratore relativamente giovane, anziché come rivolta a ritardare l’insorgenza delle cronicità. Una questione solo di punti di vista? Forse no, perché il target qui è il dipendente assicurato, spesso con famiglia, non certo le grandi malattie».
Può un simile modello far comodo all’Italia che invecchia? Può “farla sua”? In caso di crisi economica ed arretramento del Servizio sanitario nazionale, erogatori privati acquisterebbero case di comunità con i medici di famiglia dentro? «Nei sistemi sanitari europei l’attenzione del legislatore sull’offerta sanitaria è costante ma non ritengo improbabili scenari all’americana. I fondi sanitari si ridisegnano rapidamente rispetto ad un Ssn che trasuda burocrazia ad ogni passaggio. Oggi la sanità pubblica resta garanzia di un modo efficace di fare medicina, di una visita medica che non si esaurisce in uno scambio di immagini, di una salute individuale che non si esaurisce in una visita medica ma si sviluppa nell’arco di relazioni interpersonali con professionisti sanitari. L’acquisto di una prestazione sanitaria non è come quello di un vestito: il vestito si può cambiare, l’esito di una visita può pregiudicare il passaggio successivo». Molti lo capiscono, ma tra i manager evidentemente qualcuno no. «L’arretramento della sanità pubblica c’è, si legge nei sistemi sanitari che adottano i principi del privato; da noi è accaduto –sottolinea Dirindin– e le conseguenze ora sono difficili da prevedere».
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